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Blatter e Platini uniti fino alla fine

Blatter e Platini uniti fino alla fine

Redazione

22.12.2015 ( Aggiornata il 22.12.2015 09:36 )

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Nonostante l'evidenza e la sostanza degli otto anni di condanna inflitti dal ridicolo Comitato Etico della FIFA, la carriera di Blatter e Platini non è ancora finita. Però lo svizzero è sempre in una posizione di forza e questo potrebbe costringere Platini a trattare, per concedere all'ex sponsor una onorevole uscita di scena e rientrare in ballo con qualche escamotage (magari il rinvio delle elezioni, fissate il 26 febbraio) per la presidenza FIFA. Platini non ha mai preso in considerazione l’idea di presentarsi a Zurigo per difendersi, considerando già scritta da quattro mesi la sentenza. Scritta da Blatter (come in realtà pensa), da gente che crede di fare un favore a Blatter (come pensano altri addetti ai lavori) o da dirigenti-maneggioni di professione che non vogliono un ex calciatore al potere (come dice lui). Più degli scenari conteranno i ricorsi alla FIFA e al TAS, insieme ad una al momento improbabile tregua fra i due condannati. Il tocco di classe è stata la discesa in campo, in difesa dei due condannati, del ministro dello Sport russo Vitaly Mutko: lo stesso Mutko, non un omonimo, uscito con l’immagine a pezzi dalla vicenda del laboratorio antidoping di Mosca, lo stesso Mutko che nel 2010 come membro dell'Esecutivo FIFA fu decisivo nell'operazione 2018-2022 che vendette il futuro del calcio sotto la supervisione del possibile, secondo Putin, Nobel per la Pace. Ricordiamo anche che il Comitato che in ottobre ha sospeso per novanta giorni e adesso condannato i presidenti di FIFA e UEFA non è un’entità astratta e priva di condizionamenti, ma una struttura voluta da Blatter stesso per dare una ripulita all’immagine della FIFA, con membri di osservanza blatteriana. Chissà nei vari decenni quante ‘consulenze’ nebulose sono state assegnate senza un contratto formale, ma soltanto quella pubblica di Platini è diventata un caso politico. È probabile che Blatter e Platini si salveranno insieme o insieme andranno a fondo, di certo la loro storia non è ancora finita. L'attuale serie A non è certo la migliore della storia, per la semplice ragione che nessuno dei migliori giocatori del mondo ci gioca o ha intenzione di giocarci come avveniva fino a pochi anni fa: l'ultimo appartenente a un club italiano ad essere nei primi tre del FIFA World Player o del successivo Pallone d'Oro FIFA è stato Kakà nel 2007. Però la stagione 2015-16 è forse la più interessante, perché mai nell'era dei tre punti a vittoria (quindi dalla stagione 1994-95) a Natale ci si è fermati con così tante squadre vicine alla vetta della classifica. Con le due favorite dell'estate, Roma e Juventus, entrambe a meno 7 punti rispetto all'anno scorso ma comunque in piena corsa, più le altre al di sopra delle aspettative, con i clamorosi più 14 dell'Inter e più 11 della Fiorentina, insieme al più 5 del Napoli. La considerazione immediata è che a tutte nel mercato di riparazione basterà una mossa giusta per fare la differenza. In particolare alla capolista, la cui prestazione contro la Lazio ha evidenziato i limiti di un centrocampo che appena c'è un calo atletico crea poco (e domenica nemmeno ha distrutto) e quando è strutturato con una coppia dei mediani pochissimo. Veniamo al punto: quali sono le reali difficoltà dell'operazione Pirlo? Non la volontà di Mancini, che ai suoi collaboratori ha più volte parlato di squadra nata per il 4-3-3 ma con un centrale dai piedi almeno decenti. Non quella di Pirlo, che gli amici dicono delusissimo dalla MLS (non dall'America, invece, né tantomeno da New York) e dal suo livello. Il problema è che l'operazione è tutt'altro che low cost, al contrario di come si dice, per una serie di bonus che Pirlo ha incassato e dovrà incassare da lega e club. Va detto che nello scorso gennaio, con Mancini appena arrivato, si spese molto di più anche se nessuna di quelle operazioni ha lasciato grandi segni e l'unica azzeccata, Brozovic, potrebbe diventare uno strumento per creare liquidità. Su Christian Vieri abbiamo sempre avuto un pregiudizio positivo come per tutti i calciatori senza maglia e senza bandiera, per citare il titolo di un libro di Petrini. E lui fa parte a pieno titolo della categoria, nonostante per sei anni abbia vestito la maglia dell'Inter e abbia con quella maglia segnato 123 gol è difficile che sia oggi ricordato o identificato come interista (per dire: Beccalossi è stato in nerazzurro non più di lui, Matthäus molto meno). Per questo la sua autobiografia, Chiamatemi bomber, appena uscita per Rizzoli e scritta dal giornalista della Gazzetta dello Sport Mirko Graziano, è diversa dalle altre proprio perché non fa concessioni al tifoso di nessuna delle tante squadre in cui Vieri ha giocato. Il tono è quello del famoso sfogo dell'Europeo 2004, quello del 'Sono più uomo io di tutti voi messi insieme', decisamente sgradevole ma proprio per questo interessante e insolito. Anche perché in quasi ogni pagina Vieri contraddice questa sua tesi, parlando di scelte fatte puramente per denaro (molte ma su tutte il passaggio dalla Juventus, con Moggi che per trattenerlo gli avrebbe quadruplicato l'ingaggio, all'Atletico Madrid), di una vita in cui al campione tutto è dovuto (miserabile l'episodio dei biglietti per gli amici, che si rifiutava di pagare al club ritenendoli un diritto), di 'trombate' sempre e comunque perché ogni lasciata è persa, anche poco prima degli allenamenti (sempre però sostenendo di essere un serio professionista). Vieri e il suo coautore non fanno del maledettismo fine a se stesso, ma restituiscono un'immagine molto realistica della vita del campione, ben diversa dai santini formato famiglia a cui siamo abituati. Del resto a Vieri del giudizio degli altri importa pochissimo, decisamente un punto a suo favore. Essendo un'autobiografia non mancano le omissioni, senz'altro preferibili a spiegazioni ridicole come quella della famosa 'fuga dal termosifone' sua di Di Biagio, che li fece mettere fuori squadra da Cuper. Ci sono i buoni e i cattivi, con netta prevalenza dei primi perché nel mondo del calcio quasi tutti sono 'grande', 'mitico', 'fratello', almeno fino a quando non si buttano via soldi in ristoranti ed iniziative imprenditoriali varie, ma interesse del lettore per i secondi: in particolare Moratti, descritto come un indeciso condizionato dall'ultima opinione dell'ultimo consigliere, e Branca. Dal punto di vista calcistico Vieri ha un rimpianto enorme, l'infortunio che lo avrebbe escluso dai convocati di Lippi per il Mondiale 2006, ma in generale sembra consapevole della fortuna che gli è capitata nella vita. Così come del fatto di essere stato il fondatore ufficiale, insieme a Elisabetta Canalis, del binomio calciatore-velina che esisteva dagli anni Trenta ma che con lui e i suoi tanti imitatori di serie C della domenica sera milanese è diventato un genere a sé stante: era la Milano di Bobone e di Lele Mora, poco tempo fa che però sembra un'era geologica. Un libro ben scritto, sintetico e davvero diverso nel mare delle autobiografie, su di un campione strano che è stato il simbolo di anni strani anche fuori dal calcio. Anni che non crediamo qualcuno rimpiangerà, nemmeno con il doping del 'come eravamo giovani'.  Twitter @StefanoOlivari

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