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Mancini e Allegri, diversamente aziendalisti

Mancini e Allegri, diversamente aziendalisti

Redazione

14.12.2015 ( Aggiornata il 14.12.2015 10:16 )

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Inter e Juventus hanno davvero deciso di rilanciare l'editoria sportiva, perché quello che si sta profilando all'orizzonte è l'ennesimo duello di una sfida infinita che riguarda non soltanto questioni calcistiche, visto che banalmente ogni squadra del mondo ha i suoi tifosi, ma anche modi diversi di essere italiani (tralasciamo il discorso Asia dove la serie è seguita da due, forse quattro e qualcuno dice nove, miliardi di persone). Perché il calcio non è soltanto calcio, il segreto di Pulcinella del suo successo è proprio questo: diversamente sarebbe seguito come i pur rispettabili fioretto e pallamano. Su Erick Thohir ci siamo sbagliati totalmente. Eravamo convinti fosse l'uomo che avrebbe dovuto i risanare i bilanci dell'Inter, per conto suo e di Moratti, a scapito dei risultati del campo, con uno scenario da Udinese di lusso. Invece sta accadendo l'esatto contrario: i conti sono sempre un disastro, parzialmente mascherato da artifici contabili perizie discutibili, ma la squadra costruita con molti meno soldi che in passato è di una solidità impressionante. Merito dell'allenatore e quindi anche di chi lo ha scelto, a partire da Thohir e senza andare lontano da Moratti. Mancini è l'unico tecnico italiano che abbia davvero voce in capitolo in materia di calciomercato, magari altri a seconda del carisma e del potere contrattuale possono strappare qualche 'loro' giocatore, ma soltanto lui ha la licenza totale di fare e disfare, al di sotto ovviamente di un tetto ben preciso. Mai come quest'anno, nonostante abbia già vinto tanto, sta dimostrando di essere nell'elìte della sua professione. In senso aziendale all'opposto sta Allegri, allenatore ideale di un club che storicamente ha sempre considerato i suoi allenatori, anche grandi allenatori, dipendenti-funzionari come tanti: intelligente l'anno scorso nel non disfare il lavoro di Conte, impermeabile quest'anno alle critiche di chi non capiva come mai la squadra bianconera non fosse subito al massimo dopo aver perso i suoi tre trascinatori e avere tanti nuovi da inserire (un mese fa Allegri era l'autolesionista che non capiva Dybala). Se Mancini è direttamente l'azienda, Allegri ne è comunque un ottimo rappresentante. Ma cosa volevamo dire, al di là del citare due allenatori che per motivi diversi ammiriamo, anche se il tifoso medio (anche delle loro squadre!) li ritiene soltanto molto fortunati? Che per qualche misteriosa e anche meno misteriosa ragione i grandi club, a parte qualche anno di transizione, rimangono grandi a prescindere dagli errori propri e dai meriti degli altri (scriviamo nel presente perché magari lo scudetto lo vincerà la Roma con la Fiorentina seconda, ma il sito non si può fermare fino a maggio). È un bene? Secondo molte teorie economiche sì, secondo noi no. Non è per fare la NBA dei poveri, ma non capiremo mai come si possa partecipare a un campionato senza poter sognare, nemmeno con un orizzonte di dieci anni, di poterlo vincere. È più facile essere re quando i sudditi sono felici di rimanere sudditi. 2. Non sappiamo da dove nasca l'ottimismo di Michel Platini dopo la sentenza del TAS che conferma la sospensione inflittagli dal comitato etico (senza iniziali maiuscole, rigorosamente) della FIFA, quindi fino al prossimo 5 gennaio. Certo è che il presidente dell'UEFA, secondo quanto risulta ad uno dei suoi referenti italiani, ha ricevuto rassicurazioni informali dallo stesso TAS che la sua eventuale condanna (fra 6 giorni o giù di lì) da parte del comitato etico, al limite anche la radiazione, sarà esaminata dal TAS in tempi brevissimi e questa volta il tribunale di Losanna entrerà nel merito della difesa del sessantenne aspirante alla successione di Blatter. Abbiamo scritto 'eventuale' condanna, ma avremmo potuto mettere 'sicura' viste le anticipazioni fatte all'Equipe da Andreas Bantel, portavoce del comitato etico stesso: una sentenza già scritta, una gigantesca trappola per Platini con mandanti ancora oscuri ma di sicuro un Blatter molto soddisfatto per avere trascinato con sé l'ex delfino nella relativa rovina. In caso di reintegrazione da parte del TAS ci sarà insomma tutto il tempo di tirare le fila in vista delle elezioni del 26 febbraio, se invece andrà male anche a Losanna allora l'idea di Platini è quella di sostenere comunque Infantino come candidatura di bandiera, senza cercare alleanze, in modo da portare avanti in seguito, con le mani libere, il suo progetto di mini-FIFA (o super-UEFA, se vogliamo). Purtoppo la CONCACAF continua ad avere 41 voti sui 209 totali. 3. Molti sport sono in crisi finanziaria o tecnica, ma fra questi non rientra certamente la boxe nonostante i luoghi comuni giornalistici la vogliano sempre al capolinea. Da poco abbiamo finito la lettura dell'interessantissimo 'Il mio Ali', di Gianni Minà, raccolta di articoli d'epoca su 'The Greatest' scritti dal suo massimo conoscitore italiano: già all'inizio degli anni Settanta, quindi prima delle sfide con Frazier, di Kinshasa, eccetera, la boxe veniva da molti addetti ai lavori considerata organizzativamente finita. Non si erano fatti i conti con la televisione free, con la pay-per-view e con l'eternità di uno sport durissimo e molto meno taroccato di altri. Questa polverosa premessa per dire è che è incredibile che in Italia, con tutti i canali sportivi e generalisti che ci sono, non si sia vista la riunione di sabato sera alla O2 Arena di Londra dove nel match di apertura il nostro Moscatiello ha ben figurato (in rapporto al poco preavviso avuto: era infatti il sostituto di Branco) con Paul Malignaggi nella sfida per il titolo dell'Unione Europea dei welter, vinta dall'italo-americano ai punti. Tutto esaurito da 20mila posti, il solito grande ambiente che l'Inghilterra e molti altri paesi europei (la Germania in primis) riservano alla boxe, in una riunione imperniata sulla sfida per il campionato britannico dei massimi fra Anthony Joshua e Dillian White, in una categoria che ha ricevuto una scossa dall'emergere di Tyson Fury. Non è strampalato pensare a un Fury-Joshua a Wembley, davanti a 100mila spettatori... In Italia qualcosa si sta muovendo, grazie anche all'attivismo della famiglia Cherchi che a Milano ha rilanciato le riunioni nello storico Principe, ma i media sembrano non essersene accorti nonostante i buoni risultati di ascolto anche di match modesti tanto è vero che lo storico, dal punto di vista finanziario, Mayweather-Pacquiao è quasi stato regalato. Twitter @StefanoOlivari

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