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I grandissimi allenatori italiani che non vuole nessuno

I grandissimi allenatori italiani che non vuole nessuno

Redazione

07.10.2015 ( Aggiornata il 07.10.2015 11:29 )

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Siamo abituati a leggere, praticamente per ogni sport, che gli allenatori italiani sono i migliori del mondo. Sarà per questo, perché sono troppo bravi, che quasi tutti quelli di grande nome nel calcio sono in questo momento disoccupati. Non esiste infatti un ex commissario tecnico della Nazionale che in questo momento lavori: escludendo chi si è ufficialmente ritirato (Vicini, Sacchi, Cesare Maldini, Zoff), sono in cerca di una panchina o di una direzione tecnica il 76enne Trapattoni, il 67enne Lippi, il 58enne Prandelli e il 52enne Donadoni. I motivi sono diversi, anche semplicemente aspettare l'occasione giusta nel calcio che conta, ma la statistica fa comunque impressione. Se poi aggiungiamo i nomi di spessore internazionale vediamo che stanno alla finestra anche Ancelotti, Capello, Spalletti... E mettiamoci, un gradino più sotto, Mazzarri, Zaccheroni, Guidolin, Di Matteo... Senza contare l'emergente ormai emerso Montella, ancora legato alla Fiorentina (come Mazzarri all'Inter) ma al palo. Al di là del fatto che uno di loro prenderà il posto del Mihajlovic della situazione, la tendenza è evidente: i club di alto e medio livello attribuiscono sempre meno importanza alla figura dell'allenatore, puntando più su un manager o un gestore di situazioni (per non dire esecutore di ordini). Quando si scende di categoria la mitica 'mano' conta invece ancora. 2. Con chi ce l'aveva Roberto Mancini nel suo sfogo contro chi giudica senza avere la minima idea di come si allena una squadra? Non soltanto con alcuni giornalisti, come è stato già detto, categoria che lui nemmeno considera a parte poche eccezioni (una di queste era Franco Rossi), ma con ex colleghi calciatori che dagli studi televisivi spiegano ogni risultato con la tattica, esprimendosi in allenatorese. E pensare che con due di loro poco tempo fa ha anche rischiato di lavorare... 3. Molti milanisti hanno salutato con simpatia Kevin Prince Boateng, incrociato alla partita Armani-Celtics al Forum insieme a Melissa Satta. Situazione mentre scriviamo queste righe: Mihajlovic non lo vuole vedere nemmeno dipinto, al di là dell'ospitalità di Milanello e del fatto che sia tuttora legato allo Schalke pur vivendo a Milano. Niente di personale, ma se un giocatore della sua fisicità non viene ritenuto idoneo dall'Al-Ittihad... Se l'orizzonte dell'allenatore serbo si accorcerà Boateng ha invece qualche speranza di essere recuperato da Galliani, mentre come estrema soluzione ci sarebbe un prestito a quel Genoa che già quattro anni fa fu decisivo per portarlo in rossonero. Facciamo grandi considerazioni tattiche, ma alla fine tutti i contratti dei giocatori di fascia media e medio-alta si decidono in base a relazioni personali. 4. José Mauri con un semplice no ha smascherato tutte le ipocrisie sulla questione oriundi-Nazionale (nel suo caso l'Under 20): al di là del passaporto e della convenienza, che lo spingevano verso l'Italia alla Eder, Thiago Motta, Camoranesi, eccetera, lui si sente argentino e preferisce sognare una chiamata dell'Argentina in questo momento non probabile, anche perché non è che il Milan lo stia mettendo in mostra. Eppure è arrivato a Parma nel 2010, quindi a 14 anni (ma se è per questo Messi arrivò a Barcellona a 13). E quindi? Il passaporto è un pezzo di carta, il sentimento di appartenenza e l'identità no. L'unica ragione d'essere delle nazionali, nel 2015, è proprio che esistono cose non vendibili. Twitter @StefanoOlivari

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