Jock Stein, trent'anni dopo

Pubblicato il 10 settembre 2015, 13:06

Sono passati trent’anni dalla morte di Jock Stein, mitico allenatore del Celtic degli anni Sessanta, col quale vinse dieci campionati e soprattutto la Coppa dei Campioni del 1967, la prima di un club britannico e ancora oggi l’unica messa in bacheca da un club scozzese. Una leggenda del football, che trascorse gli ultimi anni di vita alla guida della Scozia, guidandola ai Mondiali di Spagna nel 1982 e qualificandola di fatto a quelli in Messico. La sua morte, a suo modo romantica, si consumò proprio alla fine dell'ultima gara di qualificazione al Mundial ‘86, quando un arresto cardiaco al termine della partita contro il Galles gli fu fatale. Breve cronaca dell’incontro. Cardiff, Ninian Park, 10 settembre 1985: Galles e Scozia si affrontano nell’ultima partita del girone 7. Entrambe puntano alla qualificazione al Mondiale dell’anno dopo. Non si sa ancora se diretta, o se via spareggi. Per saperlo, si dovrà attendere l’esito di Spagna-Islanda, in programma dopo due settimane (vincerà la Spagna e dunque servirà lo spareggio contro una squadra dell'Oceania). Il Galles deve vincere a tutti i costi, mentre alla Scozia basta un pari per tenersi dietro i gallesi. Dopo tredici minuti di gioco, i padroni di casa si portano in vantaggio con una rete di Mark Hughes, attaccante del Manchester United. La Scozia, priva di alcune stelle messe fuori causa da infortuni e squalifiche, non si scoraggia e riesce ugualmente a tessere un’organizzazione di gioco, riprendendo il risultato con un rigore trasformato a dieci minuti dalla fine dall’ala dei Rangers Davie Cooper e solo intuito dal portiere Southall. Il risultato non cambiò più e al fischio finale si scatenò la festa dei dodicimila tifosi scozzesi scesi a Cardiff. Terminato il match, nel manto erboso circolò subito la notizia dello svenimento del Ct Stein, che si accasciò al suolo dopo essersi portato le mani al petto. Le telecamere lo inquadrarono per un attimo mentre venne portato negli spogliatoi. Si capì subito che era un fatto grave. Il clima di euforia dei giocatori fu presto rimpiazzato dal gelo, quando il giovane Alex Ferguson, collaboratore di Stein e non ancora allenatore del Manchester United, raccontò cosa era accaduto al momento del triplice fischio. La notizia della morte del tecnico raggiunse i giocatori negli spogliatoi, quando Ferguson ne diede l’annuncio. «Calò il silenzio», raccontò il difensore Alex McLeish: «Nessuno parlò per un’ora negli spogliatoi, così come nessuno parò nella strada per l’aeroporto». I giocatori furono sconvolti, così come fu sconvolto lo stesso Ferguson, che considerava Stein il suo mentore. Si spense così, a 62 uno dei tecnici più vincenti della storia. Oltre alla Coppa dei Campioni, al Celtic lo ricordano anche per il celebre “nine in a row”, la vittoria di nove campionati consecutivi (conquistati tra la stagione 1965-66 e la 1973-74), impresa mai più riuscita ai Bhoys, e in seguito eguagliata una sola volta, dai rivali dei Rangers, tra il 1988-89 e il 1996-97. Oggi, al Celtic Park, a John “Jock” Stein è dedicato un settore dello stadio, e dal 2011 fuori dall’impianto è stata apposta una statua di bronzo in suo onore. La panchina della Scozia venne affidata ad interim proprio ad Alex Ferguson (il quale aveva già vinto tre campionati, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea con l’Aberdeen), che ebbe il compito di guidare la Tartan Army allo spareggio intercontinentale contro l’Australia (una formalità: 2-0 a Glasgow, 0-0 a Melbourne) e alla rassegna messicana, che terminerà alla fase a gironi, in linea con la tutt'altro che lusinghiera tradizione scozzese in fatto di Mondiali. Giovanni Del Bianco @g_delbianco

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