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La vittoria dei Vaqueros de Bayamon nel campionato portoricano fa notizia in Italia non soltanto perché il protagonista è stato Danilo Gallinari ma anche perché si tratta del primo titolo vinto da Gallinari in vita sua, a 37 anni e con una carriera che potrebbe (ma non è ancora detto) interrompersi dopo l’ultimo urrah azzurro a Eurobasket. Un titolo conquistato da protagonista, oltre che da MVP dei playoff, in un contesto tecnico che al di là delle ironie è da parte bassa della nostra Serie A, se i payroll non mentono.
Ma al di là delle discussioni sul campionato portoricano basate su frammenti di YouTube è interessante una valutazione su Danilo Gallinari in senso storico, visto che in ogni caso il fine carriera è vicino: si tratta del migliore italiano di tutti i tempi? Domanda che ha cittadinanza per chiunque segua la pallacanestro, visto che la targa di ‘vincente’ o ‘perdente’ viene spesso assegnata in base a Wikipedia e non al vero valore di un giocatore: secondo molti un titolo vinto da comprimario, quando non da sventolatore di asciugamani, vale più di una carriera di alto livello come quella di Gallinari. Che nei suoi anni all’Olimpia, in piena era Montepaschi, non ha certo potuto vincere e poi nella NBA è arrivato a 20 anni, scelto dai Knicks di D’Antoni, rimanendoci per 16, guadagnando 202 milioni di dollari lordi di soli ingaggi.
Una NBA in cui è stato riferimento della squadra, o fra i migliori tre per tecnica e status, quasi sempre. A New York a un certo punto era il terzo violino, sia pure in un contesto perdente (erano i tempi in cui si aspettava la 'Decision' di LeBron James). Ai Knicks Gallinari diventò un titolare chiave e una delle principali opzioni offensive prima di essere ceduto ai Nuggets a febbraio 2011 nella trade per Carmelo Anthony. A Denver Gallinari consolidò il suo status, questa volta in una squadra da playoff, e fra un infortunio e l’altro divenne il riferimento della squadra incrociando anche l’arrivo di un giovane Jokic. E anche ai Clippers, altra squadra da playoff, Gallinari sarebbe stato il riferimento, la prima opzione offensiva in quella che moltio ritengono la sua migliore stagione. Meno decisivo ma sempre importante anche in una OKC a inizio ciclo e bravissimo anche come sesto uomo negli Hawks. Inutile aggiungere che i pianeti si erano allineati ai Celtics, prima che l’infortunio in maglia azzurra, già sotto la guida di Pozzecco, segnasse di fatto la fine della sua carriera ad altissimo livello.
Senza farla troppo lunga, la carriera NBA di Gallinari è stata vissuta con uno status ottimo, mediamente superiore a quello del pur eccezionale (per la concorrenza affrontata nel ruolo) Belinelli e con ambizioni superiori rispetto a quella di Bargnani. Non si può evidentemente confrontare il palmares di Gallinari con quello di Meneghin e Marzorati (o di... Vittorio Gallinari), come molti fanno, se non per quanto riguarda la Nazionale. Qui davvero non c’è discussione: la generazione NBA non è mai arrivata nelle prime quattro squadre in alcuna competizione e in certi casi le delusioni sotto la guida di Recalcati, Pianigiani e Messina hanno assunto le proporzioni del fallimento, anche se ovviamente la colpa non è stata soltanto di Gallinari. Che magari saluterà con una medaglia, chi lo sa. Ma il fatto che il nostro basket, quello che abbiamo amato, sia stato quello di Meneghin e Marzorati, non può cancellare la considerazione di cui Gallinari ha goduto per tre lustri nella lega più importante del mondo. Fuoriclasse, non soltanto in Portorico.
stefano@indiscreto.net
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