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La Virtus Bologna ha vinto il suo diciassettesimo campionato italiano battendo in finale una Brescia esausta. Pensando alla partenza di Shengelia e Cordinier, oltre che al ritiro di Belinelli, il modo migliore per chiudere il grande ciclo di Zanetti...
Il diciassettesimo scudetto della Virtus Bologna è ovviamente da dedicare ad Achille Polonara, guerriero sfortunato che adesso ha come avversario la leucemia, ma anche a Marco Belinelli che al 99% chiude qui la sua stupenda carriera, e a Massimo Zanetti, rimasto solo al comando del club dopo che per mesi si era parlato di un suo disimpegno.
Certo nella commozione del PalaLeonessa, anche per il fantastico percorso della Brescia di Poeta, la certezza è che per la Virtus si sia chiuso un ciclo. Iniziato nel 2017 con la promozione immediata in A e proseguito con le vittorie in Champions League e in Eurocup, più 2 scudetti (e tre finali perse con l’Olimpia, senza contare il demenziale annullamento della stagione del Covid), 3 Supercoppe, la partecipazione all’Eurolega, tanti campioni e 6 allenatori (Ramagli, Sacripanti, Djordjevic, Scariolo, Banchi, Ivanovic). Shengelia al Barcellona è soltanto la partenza più dolorosa per una suadra che Zanetti ringiovanirà e che come uomo di riferimento avrà Pajola.
Ma questo è il futuro, che non deve impedire di apprezzare un presente costruito con mosse a sensazione come la cacciata di Baraldi, reo di avere sforato il budget oltre che, secondo Zanetti, di averlo calcolato male, e Ivanovic messo al posto di un allenatore pur bravissimo come Banchi. Il montenegrino, per noi uomo di culto fin da quando era uno dei vecchi nella Jugoslavia di Kukoc e Radja, ha fatto bene ovunque abbia lavorato e non solo al Baskonia: ha vinto campionati e/o coppe in Spagna, Grecia, Serbia, Francia, Svizzera e adesso anche Italia, giocando con la sua fama di duro ma mostrando anche grande flessibilità: la sua gestione dei singoli della Virtus nel finale di stagione è stata eccezionale, sopravvivendo a un grande Reyer nei quarti dei playoff e in semifinale a un’Olimpia oggettivamente più completa, portando a scuola Messina e sfruttando al meglio l’ultimo arrivo, un Taylor che ha fatto godere chi ama i playmaker puri, quelli che danno ritmo ai compagni invece di tirare da 9 metri dopo 23 secondi di palleggi.
MVP senza dubbio un Toko Shengelia a tratti eroico, ma nei playoff è letteralmente risorto Hackett e una bella notizia in chiave azzurra è la concretezza mostrata da Diouf in più situazioni. Poi la difesa di Pajola, le fiammate di Cordinier, l’intelligente gregariato di Akele e la mentalità vincente di Belinelli, resosi conto dei limiti fisici di un trentanovenne. Non si può dire che nei playoff siano stati decisivi Morgan e Clyburn, la grande scommessa (persa) per l’Eurolega, ma hanno fatto il loro come l’ha fatto anche Zizic. Si riparte da uno scudetto vinto non da Cenerentola, ma da seconda favorita, e dall’ultimo urrah di un buonissimo gruppo. Con la speranza di un’Eurolega decente e di rivedere Polonara su un campo da basket.
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