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Quarto mandato consecutivo per il presidente della FIP, in vari modi ai vertici della pallacanestro italiana dalla metà degli anni Settanta...
Come previsto da tutti, a partire dal suo avversario, Gianni Petrucci è stato riconfermato presidente della FIP per il prossimo quadriennio: alle Olimpiadi di Los Angeles 2028, al di là del fatto improbabile che l’Italia ci vada, il classe 1945 Petrucci arriverebbe a 15 anni consecutivi da presidente della federazione, da sommarsi al periodo 1992-1999, quindi 22 anni in totale. Che in termini di potere diventano 30 con gli 8, dal 1977 al 1985 da segretario generale. Nei pochi periodi scoperti vari incarichi nel calcio e soprattutto 14 anni da presidente del CONI.
Statistiche non giustificate dai risultati delle nazionali maggiori e nemmeno dal numero dei tesserati, inchiodato con tendenza al ribasso. L’Italia maschile non arriva nelle prime quattro di una qualsiasi manifestazione globale o europea da Atene 2004, quella femminile dal 1995, e non è stata nemmeno in grado di sfruttare i rari campioni fioriti nel deserto, da Bargnani a Gallinari a Belinelli. Nel 2013 i tesserati FIP erano 366.282, l’anno scorso 351.062: questo in un quadro in cui in aggregato le federazioni affiliate al CONI hanno stabilito numeri record, superando anche la flessione del periodo COVID. Insomma, zero al vertice e base ferma. Sorvolando su ciò che c'è in mezzo, anche se va detto che qui le colpe di Petrucci non ci sono: il mondo è cambiato rispetto agli anni Ottanta e il basket italiano di una volta era appunto di una volta, prima di Bosman, delle 30 franchigie NBA, delle corazzate di Eurolega, dell'esplosione di questo sport in grandi paesi come Francia e Germania.
Come ha fatto Petrucci a essere rieletto, in mezzo fra l’altro al consenso quando non direttamente al tifo di molti giornalisti? La spiegazione è nota: non votano gli appassionati, come potrebbe essere per il segretario del PD, e nemmeno i tesserati con uno che valga uno, ma le regioni, ognuna con il suo numero di delegati che potremmo chiamare grandi elettori. Dei 96 voti espressi 68 sono andati a Petrucci e 23 a Guido Valori, con 5 schede bianche. Petrucci è andato oltre il quorum richiesto per il quarto mandato consecutivo, 66,7%, mentre a Valori sarebbe bastata la maggioranza semplice. Considerando il controllo che un presidente in carica esercita sui comitati regionali, mentre il cosiddetto ‘uno vale uno’ favorirebbe un voto di opinione, si può dire che la vittoria di Petrucci (con il 70,8%, quindi) sia stata tutt’altro che un trionfo. Lui da esperto politico aveva annusato l’aria e in caso di vittoria senza quorum avrebbe probabilmente, nella successiva votazione, messo una sua creatura difficile da criticare come Gigi Datome.
Detto questo, la cosiddetta opposizione per battere Petrucci ha proposto un candidato sconosciuto anche a molti addetti ai lavori, non trascinante e nemmeno con questo grande programma, al di là di frasi generiche sulle donne e sul 3x3. Di più: fino a non molto tempo fa Valori è stato più petrucciano di Petrucci, suo amico e avvocato, oltre che consulente ai tempi del CONI e in parte in quelli della FIP. E l’aspetto più grottesco di tutti è che le elezioni della FIP sono state a questo giro fra le pochissime di tutte le federazioni del CONI ad avere almeno 2 candidati. In ogni caso nessuno ha la bacchetta magica per valorizzare quello che rimane il secondo sport di squadra italiano nonostante i risultati internazionali, l’unico che vagamente assomigli (per lo meno in alcune città) al calcio come tifo e riscontro mediatico. La pallacanestro è sempre forte, pià meriti del lontano passato che di quello recente.
stefano@indiscreto.net
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