Il sergente Ivanovic

La svolta della Virtus, il programma di Valori e il record più brutto

Il sergente Ivanovic

Stefano OlivariStefano Olivari

Pubblicato il 11 dicembre 2024, 13:31 (Aggiornato il 11 dicembre 2024, 18:19)

Dusko Ivanovic si presenta oggi ufficialmente alla Virtus Bologna e alla pallacanestro italiana, a tre giorni dalla vittoria contro l’Olimpia Milano al Forum. Non che a 67 anni abbia bisogno di presentazioni, vista la buona carriera da giocatore (due Euroleghe vinte con la Jugoplastika dei giovani Kukoc e Radja) e quella eccellente da allenatore, soprattutto con il Baskonia, infatti l’interesse è più per la direzione della Virtus dei prossimi anni che per l’impatto sportivo che avrà Ivanovic al di là di qualche cambiamento che già si è visto, come lo scongelamento di Grazulis o Shengelia messo più vicino al ferro. Di base un sergente di ferro non è la scelta migliore per una squadra piena di giocatori oltre o molto oltre i 30 anni (Belinelli, Clyburn, Shengelia, Hackett, Grazulis, Polonara), che quasi si auto-allena, nel bene e nele male. Ma dopo le dimissioni di Banchi, che lo hanno fatto uscire di scena a testa altissima e con i giocatori che gli chiedevano di rimanere, Ivanovic era l’unico coach di nome che ha accettato un contratto breve. L’orizzonte è infatti giugno, con una stagione che in Eurolega è ormai andata anche con una buona dose di sfortuna (almeno metà delle partite perse è stata quasi buttata, soprattutto per cali fisici) e che in Serie A potrebbe anche non finire con il solito Olimpia-Virtus visto che Trento sta volando, che Trapani ha ambizioni e soprattutto che Olimpia-Virtus potrebbe materializzarsi prima della finale. Di sicuro l’aumento di capitale da oltre 3 milioni sottoscritto pro quota da Zanetti (55%) e Gherardi (45%) dice che nel breve periodo non ci sarà alcuno smantellamento. Ma questo ciclo è di sicuro al capolinea e per la Serie A è una cattiva notizia. 

Quale è il programma di Guido Valori, che il prossimo 21 dicembre proverà a farsi eleggere presidente della FIP al posto dell’eterno Petrucci? Confessiamo di non averlo capito, al di là di parole generiche come ‘rinnovamento’ e di un’enfasi, almeno nelle interviste, su pallacanestro femminile e sul 3x3, paragonato (in maniera secondo noi spericolata) a ciò che il padel è in rapporto al tennis. Semmai il 3x3 potrebbe essere un medaglificio, ma dopo Parigi lo hanno capito in tanti e a Los Angeles 2028 è probabile che in tanti provino a presentare pseudo-dream team. Detto che Petrucci ha saputo coltivare nel corso dei decenni i rapporti con i giornalisti, e che quindi sarà sempre presentato come l’usato sicuro, l’esperienza, l'uomo di sport, eccetera, non vediamo come Valori possa evitare un nuovo quadriennio di Petrucci. Che con il 2024-2028 arriverebbe a ben 22 anni di presidenza (1992-1999 più 2013-2028, senza contare gli 8 anni da segretario generale), cosa che nelle federazioni sportive italiane non è purtroppo una rarità. Inutile ricordare lo stato dell’attività di vertice delle nazionali e di quella di base, con il calo di interesse per la pallacanestro malamente mascherato da sondaggi esilaranti, come quello secondo cui nel 2024 il 28% degli italiani segue questo sport. Non tutto è colpa di Petrucci, ovviamente, il mondo è cambiato radicalmente e l’Italia fa quello che può, ma in ogni caso non ci sembra che da lui negli ultimi trent’anni siano uscite idee geniali, diverse dalla pura e semplice gestione.

La pallacanestro mondiale ha nella stagione 2023-24 stabilito un record tristissimo, quello di trasferimenti internazionali di giocatori. L’International Basketball Migration Report, pubblicato dalla FIBA, indica in 13.149 il numero di questi trasferimenti, più del doppio rispetto a una decina di anni fa, quindi rispetto a un mondo già post Bosman da quasi vent'anni e deregolamentato al massimo. Ovviamente gli Stati Uniti sono il principale paese esportatore di giocatori, ma il problema non è il passaporto bensì il ritmo con cui questi trasferimenti avvengono. Segno di una provvisorietà sportiva e umana che porta l’appassionato (non il tifoso, che si fa andare bene qualsiasi cosa) a considerare le squadre un po’ tutte uguali, fra l’altro anche con un monogioco, senza alcun motivo di interesse e tanto meno identità. Senza mettersi a imporre divieti che cadrebbero al primo ricorso, basterebbe limitare il mercato ad alcune finestre o addirittura una sola. Ma per farlo ci vorrebbe al vertice della Lega un dirigente con una leadership superiore a quella di Gandini, uno che i club rispettino.

stefano@indiscreto.net

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