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L'Eurolega di Olimpia e Virtus, il livello di Mannion, il record di Banchero e la NBA pro Harris
Alla vigilia dell'Olimpia-Virtus di Eurolega si può fare un primo bilancio internazionale delle stagione dei due grandi club italiani. Orrendo, per dirlo in una parola, al di là dell’1-5 che le colloca all’ultimo posto in classifica insieme all’Alba Berlino, squadra che però ha tutt’altri obbiettivi e filosofia rispetto alle due italiane. La costante sono i cattivi finali di partita, con ancora negli occhi quello di Milano, senza Shields, con il Baskonia e e quello di Bologna in casa con il Bayern di Napier rimontando da meno 16, poi in rapporto al budget è finora peggio Milano. In casa Armani il grande problema è Ettore Messina, forse non al capolinea come allenatore (anche se Fioretti è piaciuto per la tranquillità data alla squadra, senza quegli automatismi punitivi davvero d’altri tempi: in panchina contro la Virtus ci sarà ancora lui, perdurando l'otite di Messina) ma senza dubbio pessimo come dirigente, come prova anche la semplice esistenza di una trattativa per Mannion già a fine ottobre. In casa Zanetti, o meglio Zanetti-Gherardi (con il paradosso che il secondo socio, quello al 45%, sembra quello di maggioranza o almeno parla come se fosse tale), manca almeno un lungo, anche se Zizic sta recuperando e Diouf fa il suo, e in generale la squadra è corta visto il lungo addio di Belinelli e Hackett. Con tutti sani, a partire da Nebo, l’Olimpia è da playoff, quindi come minimo da sesto posto, tranquilli, la Virtus forse no a meno che Clyburn torni quello del CSKA.
Comunque vada a finire la trattiva fra Milano e Varese per Nico Mannion è già possibile fare un discorso soltanto sportivo su un ragazzo che è una delle poche note liete della pallacanestro italiana degli ultimi anni, anche se l’Italia non ha alcun merito nella sua formazione, totalmente statunitense. E il discorso sportivo è così sintetizzabile: in questo momento la dimensione di Mannion è Varese, squadra da battaglia dove il playmaker sempre con il pallone in mano, che fa e disfa ad alto ritmo, se ha il talento di Mannion è quasi auspicabile per quelle poche vittorie che fanno la differenza fra la salvezza e la A2. E l’Italia di Pozzecco è, in rapporto alle avversarie, un po’ una Varese: con l’entusiasmo ti batte la Serbia, con un altro clima perde male con Portorico. Senza rivangare l’esperienza comunque positiva ai margini degli Warriors, In contesti più quadrati, come la Virtus, il Baskonia o come sarebbe l’Olimpia di Messina, il Mannion attuale, con il tiro che va e viene, inciderebbe poco o comunque non gli darebbero il tempo per incidere.
Paolo Banchero ha superato bene la delusione per non aver fatto parte degli Stati Uniti vincitori dell’oro olimpico a Parigi. Senza infortuni vincerà di sicuro quello di Los Angeles, non è una previsione difficile. Il campione che ha sedotto e abbandonato la nazionale italiana sta per compiere 22 anni e al suo terzo anno nella NBA può essere considerato una stella, di quelle che ogni notte possono battere un record. Intanto contro gli Indiana Pacers ha realizzato il suo career high: 50 punti, eguagliando il record degli Orlando Magic che era in solitario di un'icona come Tracy McGrady. Insomma, il futuro è suo e la domanda è scontata: gli sarebbe convenuto essere italiano? In altre parole: meglio essere la stella di un paese che comunque il marketing statunitense apprezza, come poteva essere Nowitzki, o essere un americano che negli Stati Uniti può giocare o non giocare che tanto è uguale? La sua risposta, pur dettata anche dalla presunta convenienza, è stata onesta.
Mai la NBA ha aspettato un'elezione presidenziale come sta aspettando l'Harris-Trump di martedì 5 novembre. Non passa giorno, ormai diremmo anche ora, in cui non ci sia un endorsement importante da parte di protagonisti o ex protagonisti della lega. Il problema, per la NBA come organizzazione, è evidente: in un paese diviso, in cui chiunque vinca lo farà probabilmente per pochi voti, non è statisticamente possibile che tutte le dichiarazioni di voto della NBA (Curry, Kerr, Paul, fino a Magic Johnson) siano pro Kamala Harris. E non è nemmeno questione di neri o bianchi, visto che ci sono sondaggi che danno Trump addirittura al 25% fra l'elettorato nero. Il tema non è soltanto politico, perché molti imputano il crollo di interesse nei confronti della NBA, almeno in patria (le ultime Finals hanno avuto gli ascolti più bassi dal 2007), proprio a questa percezione della NBA, giusta o sbagliata che sia, come avamposto sportivo della cultura woke, popolata da milionari che quando gli conviene (come con la Cina) chiudono entrambi gli occhi sui diritti civili mentre in un contesto protetto indossano un'altra maschera.
stefano@indiscreto.net
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