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Il diciottesimo titolo NBA finito a Boston premia la sesta squadra in sei stagioni diverse, con un equilibrio che fa sì che tanti possano considerarsi ad un giocatore dal trionfo...
Il diciottesimo titolo NBA dei Boston Celtics è una vittoria per la NBA, come del resto lo sarebbe stato il secondo dei Mavericks battuti in finale ed il primo di T’wolves e Pacers finalisti di conference: in tutti i casi avremmo avuto il sesto campione diverso consecutivo nelle ultime sei stagioni, dopo Raptors, Lakers, Bucks, Warriors e Nuggets. Un contesto ben diverso da quello della NBA formato ridotto dal 1956 al 1969, 13 stagioni in cui i Celtics di Red Auerbach, in campo trascinati da Bill Russell, vinsero 11 volte, ed anche da quello di una NBA più recente ed equilibrata, comunque piena di dinastie e minidinastie da almeno tre titoli: i Lakers dello Showtime, gli stessi Celtics di Bird, i Bulls di Jordan, i Lakers di Kobe & Shaq, gli Spurs di Duncan, gli Warriors di Steph Curry.
Questo non significa che le squadre NBA siano tutte uguali né che abbiano lo stesso potenziale di spesa: fra eccezioni, penali ed altri magheggi, per tacere della diversa fiscalità fra stati (altro che il Decreto Crescita), il payroll degli ultimi Warriors, peraltro disastrosi in rapporto alle aspettative, 209 milioni di dollari, era di quasi 80 milioni superiore a quello dei Magic. In questa classifica i Celtics di Jaylen Brown, MVP della Finals, e Jayson Tatum, partivano quinti, i Mavericks noni. Insomma, l’era dei superteam, con i free agenti di grande nome a riunirsi in squadre presunte da titolo, ha allungato a volte penosamente qualche carriera ma non ha alla fine prodotto squadre dominanti e questo per il successo di una lega è fondamentale, almeno in America. Mentre in Europa si è schiavi del mito dei grandi club che devono sempre vincere o comunque stare ad alto livello, nella NBA i Celtics avevano vinto il loro precedente titolo 16 anni fa, con la squadra di Paul Pierce e Kevin Garnett, e per trovarne un altro bisogna addirittura risalire al 1986 e a Bird, McHale, Parish, Ainge, eccetera. Questa relativa astinenza non ha impedito ai Celtics di rimanere una delle squadre NBA più tifate all’estero ed in particolare in Italia, visto che per tanti di noi il battesimo NBA è avvenuto con Dan Peterson, prima su PIN e poi su Canale 5, agli albori degli anni Ottanta.
Al di là della storia, cosa dire del diciottesimo titolo dei Celtics, adesso uno più dei Lakers? L'immenso Jerry West è stato esentato dall'assistere al sorpasso... Intanto si può dire che è stata una vittoria molto lineare, senza sorprese: la migliore squadra della stagione regolare (64 vinte e 18 perse) ha dominato anche i playoff. 4-1 ai Miami Heat, 4-1 ai Cleveland Cavaliers, 4-0 agli Indiana Pacers, 4-1 ai Mavericks. Alla fine Brad Stevens ha vinto da dietro la scrivania quell’anello che in 8 stagioni da capoallenatore ai Celtics non aveva mai nemmeno sfiorato (al massimo la finale di conference, però raggiunta tre volte), mettendo in panchina il miracolato Joe Mazzulla, alla guida di una squadra già ben costruita grazie al licenziamento di Udoka per la relazione con una impiegata dei Celtics. Pochi ma importanti gli innesti di stagione: Jrue Holiday e Porzingis, importante nelle Finals anche da mezzo rotto. In ogni caso la squadra più equilibrata di tutte insieme ai Nuggets, che nei playoff non sono riusciti ad accendere la scintilla e che per la prossima stagione sono i favoriti insieme ovviamente ai Celtics e a chi fra Mavericks, Thunder, Bucks e T’wolves, tutte ad un giocatore (e nemmeno una stella) dal titolo azzeccherà la mossa giusta.
stefano@indiscreto.net
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