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Gli anni di Bill Walton

Gli anni di Bill Walton

Addio ad uno dei più grandi centri della storia della pallacanestro, autentica icona della cultura anni Settanta...

28 maggio

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Bill Walton non è stato soltanto uno dei più grandi centri della storia della pallacanestro, buono per un coccodrillo adesso che a 71 anni è morto di cancro, ma anche un personaggio unico, non spiegabile soltanto con le vittorie: i due titoli NCAA nella UCLA di John Wooden, i due titoli NBA a Portland da protagonista e a Boston da sessto uomo nello squadrone di Bird, i mille riconoscimenti individuali fra un grave infortunio e l’altro, per non parlare di quelli minori: a fine carriera 38 interventi chirurgici, quasi tutti a caviglie e piedi, con problemi di deambulazione anche nel dopo-agonismo.

Senza dimenticare che Walton insieme a Sabonis e Jokic può essere considerato il miglior passatore di sempre nel suo ruolo, al di là delle statistiche e del fatto che lui facesse sempre la cosa giusta: infatti i suoi allenatori litigavano con lui non per questioni sportive ma per la sua libertà di pensiero, figlia del clima che si respirava nelle università californiane (era super-californiano lui stesso) dei primi anni Settanta. Decennio di cui Walton è icona culturale, anche se il suo nome oggi dice poco magari anche a molti appassionati di NBA. Fra l’altro lui non veniva da una famiglia di fanatici dello sport: il padre era insegnante di musica, la madre bibliotecaria, la NBA non era l’obbiettivo della vita per nessuno di loro.

Seguendo il fratello Bruce il piccolo Bill iniziò a giocare a pallacanestro, senza alcun segnale che avrebbe raggiunto i 2.11 dell’età adulta. Una storia, questa, già sentita molte volte (si pensi soltanto a Scottie Pippen), con una tecnica da playmaker, che a causa di una crescita improvvisa (a 16 anni in pochi mesi passò da 1.85 a 2.02) si incarna in un corpo da ala o da centro, come nel caso di Walton. Entrato nell’immaginario collettivo non soltanto per la pulizia tecnica clamorosa, ma anche per le sue performance come commentatore senza peli sulla lingua e per le sue comparsate in film e televisione. Padre, fra gli altri, di Luke, campione NBA con i Lakers (attualmente è assistente allenatore ai Cavs), come giocatore è stato uno dei più grandi ‘What if’ della storia: il Bill Walton 1976-77, che portò i Trail Blazers al titolo battendo prima i Lakers di Jabbar e poi i Sixers di Doctor J, è un manuale di basket ed è un dovere andarselo a rivedere su YouTube.

Davvero strana la sua storia con la nazionale: ai suoi tempi i professionisti non potevano (né volevano, va detto) giocare in competizioni FIBA, quindi le sue esperienze sono soltanto giovanili: appena uscito dalla high school, nel 1970, fece parte della modestissima selezione statunitense ai Mondiale in Jugoslavia, che arrivò quinta battuta anche dall’Italia di Giancarlo Primo, mentre nel 1972, quando era una superstella al college, rinunciò alla convocazione per le Olimpiadi di Monaco, per motivi mai chiariti (si parlò anche di protesta contrio la guerra in Vietnam) e comunque con pentimento tardivo di Walton, visto che anche con quell’arbitraggio gli Stati Uniti con lui in campo avrebbero vinto l’oro in scioltezza. Un altro ‘se’ nella carriera di un fenomeno al tempo stesso grandissimo e incompiuto.

stefano@indiscreto.net

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