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L'Olimpia di Franco Casalini© www.olimpiamilano.com/

L'Olimpia di Franco Casalini

La pallacanestro italiana dice addio allo storico assistente di Dan Peterson nella grande Milano degli anni Ottanta, capace poi di vincere anche da capoallenatore...

Stefano Olivari

29.07.2022 ( Aggiornata il 29.07.2022 09:14 )

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La pallacanestro italiana dice addio a Franco Casalini, che gli appassionati italiani più vecchi identificano con l’Olimpia Milano e quelli più giovani con il telecronista di Telepiù-Sky e di Eurosport. È giusto ricordarlo in entrambe le vesti, perché Casalini, scomparso a 70 anni, nei 18 anni e mezzo di Olimpia, partendo dal settore giovanile, ha vinto tutto sia come storico assistente di Dan Peterson, dal 1978 al 1987, sia come capo-allenatore nelle successive stagioni, e poi ai microfoni è stato un grande divulgatore, uno che amava davvero il suo sport e che faceva di tutto per portarlo fuori dalla parrocchietta. Piacevolissimo ascoltarlo anche al commento delle partite più insulse, straordinario per competenza e ironia. 

Come capoallenatore ha vinto la Coppa Intercontinentale 1987, in finale sul Barcellona a Milano, la Coppa dei Campioni 1988, in finale sul Maccabi Tel Aviv a Gand, e lo scudetto 1989 dopo la famosa gara 5 con l’Enichem Livorno, quella del tuffo di McAdoo e del canestro annullato a Forti a tempo scaduto, di cui si discute ancora oggi. Esperienze brevi e negative a Forlì e Roma (sia pure con una finale di Korac, con l'era Ferruzzi-Gardini ormai finita), un miniritorno all’Olimpia e ottime stagioni in Svizzera, a Vacallo, prima di dedicarsi alla televisione a tempo pieno. Conoscitore enorme della pallacanestro, è stato forse più apprezzato nella sua seconda incarnazione.

Certo come assistente dell’Olimpia era perfetto, visto che Peterson non poteva né voleva fare l’amico dei giocatori e questa parte toccava quindi a Casalini, che da head coach si ritrovò a guidare giocatori più vecchi di lui, a partire da Meneghin, in una squadra che andava con il pilota automatico, forse troppo. Ma la sua mano si vide, eccome, perché dopo lo straordinario 1987 ed il prematuro ritiro di Peterson la squadra fu parzialmente rinnovata: via Franco Boselli, Vittorio Gallinari e Barlow, dentro Montecchi, Aldi e Rickey Brown. Tre giocatori, per i canoni dell’epoca, erano tanti: davvero altri tempi… Nel 1988 via Brown, sostituito come straniero da Bill Martin e (e poi da Albert King) e Bargna, con ritorno di Marco Baldi dopo tre anni di college a St. John’s. Nel 1989 l’acquisto di Antonello Riva, che avrebbe potuto aprire un nuovo ciclo ma che per molti motivi (fra cui l’età dei leader e la strana scelta di riprendere Cureton, fuggito 6 anni prima) non lo aprì.

Casalini non era un allenatore di quelli che prendono i giocatori per la maglia e gli urlano di tutto in faccia e forse, anzi di sicuro, questa sua educazione è stata scambiata per debolezza. Avrebbe di sicuro meritato di guidare l’Olimpia anche dopo il 1990, in una squadra molto milanese, come molto milanese era Casalini, ma il club decise di lanciare l’esordiente (in panchina) D’Antoni. Le brave persone che si sono fatte strada nello sport professionistico non sono molte e Franco Casalini, ironico ed autoironico, era senz’altro una di queste.

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