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Le due anime di Dado Lombardi

Le due anime di Dado Lombardi

La scomparsa di una stella della pallacanestro italiana, a Bologna e in tante altre città, come giocatore dal grande talento offensivo e come allenatore centrato sulla difesa. Sarà per sempre il ragazzo prodigio delle Olimpiadi di Roma...

Redazione

23.01.2021 ( Aggiornata il 23.01.2021 00:07 )

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È morto a 79 anni Gianfranco Lombardi, per tutti Dado, ex giocatore e allenatore di basket ma soprattutto un personaggio di quelli che allo sport fanno bene, perchè riescono sempre a dare più di quello che ricevono. Classe 1941, livornese, proprio a Livorno ha iniziato la sua carriera da giocatore, per poi passare a Bologna, prima sponda Virtus, per 12 anni e poi alla Fortitudo per altri 2 anni, per chiudere alla Sebastiani Rieti, con il duplice ruolo di giocatore e allenatore. Da lì in poi la sua carriera da allenatore, mai in squadre di vertice, ma allo stesso tempo mai anonime, e una specializzazione  in promozioni. 

Lombardi ha iniziato a giocare a basket in un periodo in cui il professionismo riguardava altri sport, tanto che fino ai 30 anni era, anche, impiegato nell’azienda (ferramenta) del suocero. Un periodo durante il quale il basket italiano era ben lontano dai fasti e dai successi degli anni Novanta, in particolar modo per la Nazionale, all’epoca agli ordini di Nello Paratore. In Nazionale Lombardi ci arrivò giovanissimo, tanto da essere in squadra alle Olimpiadi di Roma del 1960, a 19 anni, e non da gregario. Una squadra che alla fine sarebbe arrivata quarta, con grande rammarico proprio di Lombardi, colpito dalla folla del Palaeur, quindicimila tifosi accorsi a sostenere la nazionale di uno “sport minore”. Fu comunque la sua consacrazione  personale: inserito nel miglior quintetto accanto a gente come Korac (proprio quello dell’omonima e compianta coppa), Walt Bellamy, Jerry Lucas e Jerry West dopo la partita contro gli USA meritò il soprannome di  McLombard, grazie ai 23 punti realizzati nel canestro avversario e anche l’attenzione degli scout NBA, che gli valsero poi una chiamata ai New York Knicks, gentilmente (ma neanche tanto) declinata, per non lasciare la Virtus Bologna. 

Abbondantemente sotto i due metri, aveva iniziato a giocare a Livorno, vicino a canestro, da cui si sarebbe allontanato grazie all'instancabile lavoro di Nello Paratore, che in lui non ancora diciassettenne aveva visto un giocatore molto più moderno. In possesso di un repertorio di attacco che andava dal gioco spalle a canestro, all’arresto e tiro in corsa, Lombardi è stato un grande realizzatore capace per far tacere i critici, di giocare intere partite cercando solo l’assist e dimostrando un istinto incredibile per i rimbalzi. Realizzatore di razza, tanto in nazionale che nelle squadre di club, la sua carriera da giocatore si è chiusa senza vincere mai uno scudetto, iniziando quella da allenatore a Rieti, per proseguire poi a Trieste, Treviso, Rimini, Reggio Emilia e chiudendo a Varese, prima di una ultima veloce apparizione a Napoli. 

Al di là dei meriti sportivi, Lombardi è stato un vero e proprio istrione, un personaggio che ha fatto parlare di sé e di riflesso del basket, esponendosi sempre in prima persona nelle interviste, senza mai aver paura di metterci la faccia. Divo, protagonista, personaggio, ma sempre onesto e genuino, sempre Gianfranco Lombardi, McLombard oppure Dado come tutti lo chiamavano dopo la prima sponsorizzazione della Knorr alla sua Virtus Bologna. Inserito nella Hall of Fame Italiana nel 2007, assieme tra gli altri, a Sandro Gamba e Meneghin, Lombardi non ha mai nascosto il suo amore per Bologna e ancora di più per il basket, quello che ha giocato, in un periodo in cui a 19 anni si veniva convocati in nazionale per giocarsi la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di casa propria (neanche immaginabile oggi) e quello che ha allenato, predicando, lui attaccante nato, difesa e aiuto di squadra. Uno sport definito così da Lombardi: "Il basket è così. È come un morbo. Lo prendi e non lo lasci più. Ma per fortuna il basket è bello". Un personaggio che avrebbe dovuto ricevere di più dal basket ma non in termini di risultati sportivi, che quelli, più o meno sono sempre giusti o meritati, ma in termini di considerazione e di attenzione, evitando di dimenticarlo, dopo il ritiro.

 

 

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