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Vent'anni di Spagna mondiale© AFPS

Vent'anni di Spagna mondiale

La nazionale allenata da Sergio Scariolo ha vinto il torneo iridato in Cina e a Tokyo 2020 chiuderà due decenni fantastici, nel segno dei fratelli Gasol e di tanti altri campioni. Un movimento con una profondità che vista dall'Italia è imbarazzante...

Stefano Olivari

17.09.2019 ( Aggiornata il 17.09.2019 16:08 )

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La Spagna è diventata campione del mondo di pallacanestro per la seconda volta nella sua storia, come nel 2006 con altri (13 anni fa la Grecia, quest’anno la Francia) che le hanno fatto il favore di levare di mezzo gli Stati Uniti. Un trionfo per Sergio Scariolo, intelligente nel passato a gestire i tanti campioni e molto bravo adesso a costruire un gioco intorno ai superstiti di una generazione irripetibile, che ai Giochi di Tokyo avrà il suo ultimo urrah: quasi certamente con Pau Gasol e Sergio Rodriguez, che in Cina erano assenti.

Una Spagna solidissima intorno al classico asse play-pivot, cioè Rubio-Marc Gasol, ormai quasi una citazione da corso per allenatori e a difese anche queste d’altri tempi, come la box and one per limitare Mills nella semifinale con l’Australia. Il senno di poi e il ‘resultadismo’ non devono comunque far dimenticare l’inizio modesto, che ha fatto scrivere di peggior Spagna degli ultimi vent’anni, i grossi rischi corsi contro la vituperata Italia di Sacchetti e il suicidio australiano in semifinale. Ma la straordinaria partita contro la Serbia, quella che ha deciso il Mondiale di entrambe, e la finale dominata sotto ogni profilo dicono che la Spagna è sempre lì dove deve essere. Di base non ha giovani tanto migliori rispetto all’Italia, però almeno per un altro anno i comprimari si inseriranno in un contesto di campioni abituati a giocare palloni pesanti.

Dal 2001, bronzo agli europei in Turchia ed inizio dell’era Gasol (Pau), ad oggi, sulla panchina della Spagna si sono seduti sette allenatori diversi (Imbroda, Lopez, Pesquera, Hernandez, Aito, Orenga, oltre a Scariolo in due periodi diversi) e sei di loro hanno conquistato almeno una medaglia, con il settimo, Pesquera, quarto agli Europei 2005. Questo per dire che la nazionale spagnola dell’ultimo ventennio è stata il prodotto di un movimento fortissimo, lanciato dalla Liga ACB e dalla sua fortissima classe media, un movimento che quasi sempre ha saputo prescindere dalle situazioni contingenti e dalle assenze. Già, le assenze. In Cina per motivi diversi non c’erano Pau Gasol, Ibaka, Mirotic, Abrines, Sergio Rodriguez…

Quanto ai giovani, agli ultimi Europei l’Under 20 spagnola è arrivata seconda (Italia fuori agli ottavi di finale), l’under 18 prima (Italia anche qui fuori agli ottavi), l’Under 16 (un mese e mezzo fa a Udine) anche lei prima, con l’Italia in questo caso arrivata terza, trascinata da Matteo Spagnolo. Non un omonimo, ma proprio il ragazzo brindisino che oltre un anno fa è passato dalla Stella Azzurra Roma al Real Madrid e lì è già arrivato ai margini della prima squadra, a 16 anni. Fra quattro anni, ai Mondiali in Giappone, il playmaker dell’Italia forse sarà lui e la Spagna ci invidierà un giocatore. Nel presente la storia dice altro. Una storia con la firma di Sergio Scariolo, da assistente nella memorabile Brescia degli anni Ottanta alla gloria NBA con i Raptors (da vice) e a quella Mondiale, passando per tantissimi altri successi e una costante sottovalutazione, come capita a quasi tutti gli allenatori con l’intelligenza di stare un passo indietro rispetto a chi materialmente deve vincere le partite.

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