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La pallacanestro ai tempi di Harden© USA TODAY Sports

La pallacanestro ai tempi di Harden

Seconda puntata 2018 di Guerin Basket: l'MVP che sta trascinando i Rockets, Cantù senza acquirenti, l'assenza di LeBron e la stagione della Virtus Bologna...

Stefano Olivari

15.01.2019 12:54

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Non bisogna mai dimenticare che la brutta pallacanestro che si gioca nella NBA è pur sempre praticata dai migliori del pianeta. E fra questi eletti c’è di sicuro James Harden, che contro i Memphis Grizzlies ha con 57 punti tirato fuori il suo massimo stagionale (non in carriera, che rimane 60): diciassettesima partita consecutiva oltre i 30 per la stella dei Rockets, di meglio ha fatto soltanto Wilt Chamberlain con 20. Che la squadra di D’Antoni abbia anche vinto non è banale, perché mancavano Paul, Capela e Gordon: insomma, Harden è spesso irritante perché è l’archetipo della stella NBA di oggi che nemmeno si può sfiorare, ma non è fantabasket ipotizzare che possa essere di nuovo votato come MVP. I Rockets, che considerando gli infortuni e la classifica corta a Ovest stanno andando discretamente (ora quarti dietro a Nuggets, Warriors e Thunder), sono una di quelle squadre da ‘ora o mai più’ in mezzo alle tante, troppe, futuribili. E anche per la carriera del quasi trentenne Harden siamo all’ora o mai più, per un anello vinto da protagonista. Mentre da comprimario di lusso, come era ai Thunder, uno con le sue caratteristiche lo potrà vincere fino a 40 anni. Per adesso godiamoci la pallacanestro ai tempi di Harden, le cui statistiche sono però di altri tempi. 

La pallacanestro italiana sta per perdere Cantù? Il ritiro della cordata abruzzese che pareva interessata a rilevare il club e la sua controversa parte immobiliare non sarebbe un problema, se non ci fossero debiti e quindi si potesse organizzare qualcosa di simile al consorzio di Varese, magari con un uomo-immagine indiscutibile come potrebbe essere Marzorati, per non dire Recalcati o Antonello Riva. In questo momento la migliore garanzia per Cantù, forse l’unica, è che Petrucci pare intenzionato a fare di tutto per impedire il fallimento di una delle nostre società più gloriose, ma la realtà è che in assenza di offerte concrete anche iniziative autopromozionali come questa di Marchesani diventano credibili e si conquistano un immeritato spazio mediatico. E quindi? Essendo la pallacanestro di serie A un’attività in perdita, come non sempre è chiaro ai potenziali investitori, questi salvataggi sono credibili soltanto su base locale, per un puro fatto di pubbliche relazioni.

L’operazione LeBron James-Lakers è stata un successo soprattutto per il giocatore e lo dimostra proprio il rendimento della squadra californiana durante l’assenza del Prescelto, infortunatosi a Natale e con tempi di rientro ancora incerti. Sette sconfitte in dieci partite senza James, che mentre stiamo scrivendo questa puntata di Guerin Basket non compromettono ancora nulla (i Lakers sono appena fuori dalla zona playoff) ma con modalità preoccupanti, in particolare contro Knicks, T-Wolves e soprattutto gli scadenti Cavs del post LeBron. Insomma, i Lakers sono già in tutto e per tutto la sua squadra, con logiche più simili a quelle di Cleveland (soprattutto nella prima incarnazione, quella 2003-2010) che a quelle di Miami ed il loro futuro dipenderà tantissimo dalla condizioni del campione. Se tornerà al top in breve tempo potrebbe avere senso un’operazione di mercato in ottica playoff, se no tanto vale lavorare per l’arrivo della seconda stella in estate, Anthony Davis e Kawhi Leonard che sia. Per il momento l’effetto LeBron è stato quello di trasformare i Lakers nella sua band di supporto e di depotenziare l’allenatore, visto che Luke Walton è nel mirino di parte dei media ma soprattutto di Magic Johnson che di tutti questi Lakers è l’architetto. Film già visti, ma del resto tutti sapevano che mettersi in casa l’azienda James poteva creare questi effetti. Di certo il suo effetto sui giovani (Ball, Kuzma, Ingram, Hart) è stato più che positivo.

In prospettiva lo strapotere di Milano, parliamo di Serie A e non certo di Eurolega dove comunque i 25 milioni a stagione di Armani sono il quinto budget del continente, sarà contrastato dalla Virtus Bologna di Zanetti, oltre che dalla Venezia di Brugnaro. Non lo dice soltanto la storia, ma la solidità della proprietà unita a un pubblico significativo che autorizza qualsiasi sogno. C’è voluta però la vittoria di Varese per acciuffare in extremis l’ultimo posto utile per la Coppa Italia (14-17 febbraio a Firenze) e un quarto di finale proprio contro Milano. Per tracciare un bilancio dei due anni del signor Segafredo da azionista di maggioranza (prima era solo sponsor) è presto, ma certo è che sia l’anno scorso, quello del ritorno in A1 mancando però i playoff, sia quest’anno, qualcosa è mancato. Non i dirigenti, che anzi sono anche troppi (il migliore è Alessandro Dalla Salda, arrivato nel 2018 da Reggio Emilia), ma un’idea di cosa si voglia essere. Squadra dove gli italiani contano, come era sembrato l’anno scorso con i due Gentile, Aradori e Baldi Rossi? Squadra per far maturare i Pajola della situazione, con americani di riferimento? Squadra con una dimensione europea, con l’attuale buona Champions League come punto di partenza? Al di là delle risposte essere ottavi per un pelo in Italia, in questa Serie A, non è un presente entusiasmante. 

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