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Rio 2016, la generazione di Delfino

Redazione

04.08.2016 ( Aggiornata il 04.08.2016 09:06 )

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Seguiremo con affetto tante vecchie conoscenze italiane che saranno presenti a Rio, dove per l'Italia propriamente detta mancheranno oltre ai giocatori anche gli arbitri. Al di là dei gusti personali, non si può non amare l'Argentina della Generaciòn Dorada all'ultimo atto, con il 39enne Manu Ginobili (4 stagioni fra Reggio Calabria e Virtus Bologna), ma soprattutto il 34enne Carlos Delfino (anche lui 4 stagioni fra Reggio Calabria e Bologna, ma Fortitudo). Perché diciamo 'soprattutto'? Perché la presenza a Rio di Delfino è semplicemente incredibile, una di quelle storie che ricordano i motivi per cui amare lo sport. Dopo una buonissima carriera italiana, conclusa con la finale di Eurolega persa a Tel Aviv contro il Maccabi, e l'oro olimpico di Atene, Delfino va ai Detroit Pistons di Larry Brown che sono appena diventati campioni NBA dopo memorabili Finals contro gli ultimi Lakers versione Kobe-Shaq. Problemi fisici e una squadra con rotazioni molto rigide lo mettono ai margini, riserva pochissimo giocante di Hamilton e Prince. La situazione migliora leggermente con Saunders allenatore, ma la vera svolta avviene con il passaggio a Toronto. Poi per un anno va a guadagnare cifre pazzesche al Khimki, prima di tornare in America, ai Milwaukee Bucks, dove finalmente diventa un giocatore NBA da quintetto base. In mezzo a tutto questo sempre una dedizione totale nei confronti dell'Argentina, con cui nel 2008 conquista un bronzo e nel 2012 un quarto posto olimpici non meno importanti dell'oro 2004. Un anno ai Rockets ed un mini-passo indietro, diventando sesto uomo di lusso, prima dell'infortunio al piede destro (frattura allo scafoide) che dal 2013 lo fa uscire dal basket. Diventa pura merce di scambio, prima torna ai Bucks e poi va ai Clippers, ma non riuscirà più a mettere piede in campo e medita seriamente di ritirarsi. Dal 2014, rescisso l'ultimo contratto americano, non ha squadra e del resto non sembra più in grado di giocare nemmeno fra dopolavoristi. Gli altri argentini della generazione d'oro, da Ginobili e Scola, di pochi anni più vecchi di lui, gli dicono di tenere duro ma non sanno spiegargli perché visto che Delfino non riesce nemmeno di allenarsi senza urlare di dolore. Glielo dice anche la nonna, come ha raccontato lo stesso Delfino in una bellissima intervista al sito argentino Basquetplus. Una nonna malata di cancro, che nel gennaio 2015 pochi istanti prima di morire dice al nipote che deve tenere duro. Lui ci prova. Sei interventi chirurgici al piede destro, consulti con luminari di mezzo mondo, ma senza risultati apprezzabili. Delfino non riesce ad appoggiare il piede per correre, a malapena ci riesce per camminare. Poi a novembre 2015 la svolta, l'incontro con il professor Sandro Giannini, un'altra operazione a Bologna e le nuove terapie che finalmente sortiscono il loro effetto. Nella primavera di quest'anno Delfino torna un uomo che può andare in giro normalmente, forse anche corricchiare. Non certo giocare a pallacanestro. Intanto torna al suo peso forma, dai quasi 120 chili raggiunti nei momenti peggiori (è alto 1,98) ai più atletici 100. Nella testa dei suoi compagni di nazionale, soprattutto di Ginobili, nasce intanto un'idea meravigliosa, che 'suggeriscono' al c.t. Sergio Hernandez: dietro di loro in Argentina c'è il vuoto e poi Delfino merita di chiudere la carriera con la quarta Olimpiade e gli amici di mille battaglie. Delfino inizia ad allenarsi come un pazzo e soltanto sulla base di quanto vede in palestra Hernandez lo convoca per i Giochi, sulla fiducia. Sabato scorso a Cordoba, amichevole contro la Serbia, 24 minuti in campo e 20 punti con 5 su 8 da tre. Sembra quasi Carlos Delfino. Discendente di italiani, sposato con un'italiana (Martina Cortese, sorella del Riccardo appena passato a Ferrara, in A2), padre di due bambini italiani, amante della pallacanestro italiana e dell'Italia, guarito dall'Italia: ma argentino. Perché l'appartenenza non si compra e non si sceglie. Per salvare i Giochi Olimpici e il nostro mondo ci vorrebbero più Carlos Delfino. Twitter @StefanoOlivari

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