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LeBron James campione NBA e profeta in patria

LeBron James campione NBA e profeta in patria

Redazione

20.06.2016 ( Aggiornata il 20.06.2016 07:44 )

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Vincere il titolo NBA in garasette, dopo avere rimontato da uno svantaggio di 1-3 contro i campioni in carica, prima volta che ciò accade nelle Finals, è stata un'impresa unica e non certo perché i Cleveland Cavs fossero inferiori agli Warriors. Due squadre diversisissime, come filosofia aziendale e di gioco, ma della stessa cilindrata. L'impresa è stata ribellarsi alla sconfitta, aiutati dalla squalifica di Green in garacinque, dall'infortunio di Bogut e soprattutto dal rendimento di Barnes nelle partite decisive. Siccome non sono soltanto i media a personalizzare tutto, ma è proprio la NBA che vende così il suo prodotto, questo titolo è il titolo di LeBron James molto più dei due che LBJ ha vinto con la maglia dei Miami Heat nel 2012 e nel 2013. Lo è perché questa squadra è stata nell'estate 2014 costruita su di lui, anche se Irving e Love hanno status e stipendio da stelle. Lo è perché la dirigenza dei Cavs ha su sua espressa richiesta sostituito a metà stagione un allenatore-allenatore come David Blatt con il classico gestore NBA, un Tyronn Lue che ha fatto la sua parte senza infamia e senza lode. Lo è perché due anni fa James ha sfidato tutti, ma soprattutto se stesso, tornando nella sua terra e nella squadra che aveva lasciato fra le polemiche con la famosa 'Decision' dell'estate 2010: essere profeti in patria è una cosa per pochissimi e James è diventato uno di questi pochissimi. Ci sarà tutta un'estate, che forse per James non sarà olimpica (Curry ha già detto che rimarrà a casa per ristrutturare il fisico), per mettere in prospettiva storica questo titolo di Cleveland (il primo nella città dal 1964, considerando tutti gli sport professionistici, quando vinsero i Browns nella NFL), mentre subito bisogna dire che garasette è stata diversa dai primi sei episodi della serie e non soltanto perché si è davvero giocata punto a punto, senza i grandi parziali a cui le due squadre avevano abituato. Il 93-89 è figlio di una grande prestazione di LBJ (27 punti, 11 rimbalzi e 11 assist), ovviamente nominato MVP delle Finals, ma anche di Irving (26 punti) che è stato autore del canestro da copertina nell'ultimo minuto di gioco. Negli Warriors grandissima prova di Draymond Green, che per una volta non è però coincisa con la vittoria: cattive le percentuali di Curry, che nel finale ha avuto il tiro del pareggio, cattivo il rendimento della panchina. Una squadra, quella di Kerr, che dopo lo straordinario record in stagione regolare (73 vinte e 9 perse) è arrivata ai playoff con vari problemi fisici, ultimissimo quelli di Iguodala (cioè il miglior difensore su James) ma che non esce affatto ridimensionata dopo la replica, con esito invertito, della finale dell'anno scorso. Che potrebbe anche diventare un superclassico, non sono certo due squadre che saranno rivoluzionate. L'aggiunta di un altro tiratore affidabile, che tolga pressione agli Splash Brothers, e magari di un centro di riserva più tecnico di Ezeli, saranno sufficienti agli Warriors per continuare a sognare. Ma questo è il momento di Cleveland e di LeBron James: in un mondo in cui tutto è in vendita (e nemmeno LeBron gioca gratis, per il puro piacere di stare nell'Ohio) rimane sempre qualcosa che non si può comprare e lo sport ha ogni tanto il grande pregio di ricordarcelo.

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