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Warriors, la panchina di una squadra

Warriors, la panchina di una squadra

Redazione

03.06.2016 ( Aggiornata il 03.06.2016 09:24 )

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Se i Golden State Warriors vincono garauno della finale 104-89 con Stephen Curry e Klay Thompson al minimo sindacale, il loro minimo sindacale, allora per i Cavs la situazione si fa subito grigia al di là delle vittorie che valgono tutte uno e delle grandi analisi tattiche pronte ad essere ribaltate in base all'ultimo risultato. Gli Splash Brothers avevano un minimo stagionale, insieme, di 29 punti: contro LeBron e compagni ne hanno fatti 20 (!) con 8 su 27 al tiro, al di là di buonissimi giri difensivi (soprattutto Thompson su Irving) garauno delle Finals 2016 non rimarrà nella loro personale hall of fame. Le cifre dicono che gli Warriors dal sesto, cioè Iguodala, in poi, hanno umiliato i corrispondenti Cavs 45-10, con il tasto schiacciato verso la fine del terzo quarto quando una partita punto a punto è stata letteralmente spezzata da un parziale di 21 a 4. È stata la grande notte di Shaun Livingston, finora molto altalenante nei playoff e di sicuro sempre meglio alla Oracle Arena che in trasferta, ma anche del fuoco che ancora arde dentro Barbosa. Bene Iguodala, che alternandosi con Green ha meglio del compagno limitato LeBron James, fra gli uomini del quintetto base è salito di colpi Harrison Barnes, come del resto era doveroso contro una difesa sempre raddoppiante di Curry e Thompson. Significativo che dei quattro panchinari realmente giocanti (Speights e Varejao hanno in garauno toccato il campo pochissimo) soltanto Ezeli, peraltro poco utilizzato in una partita in cui Kerr ha quasi rinunciato a Bogut, non sia considerabile un veterano. Insomma, mestieranti sul mercato ma che nel contesto giusto diventano altro. Il processo a James e agli altri è comunque prematuro, perché il Prescelto ha fatto le cose giuste tirando quasi sempre in avvicinamento e sotto relativo controllo, scaricando quando era raddoppiato o triplicato. Irving sparacchiante e non bene come atteggiamento, Love decente ma impreciso, ma è chiaro che contro questa versione minore degli Warriors, quasi annunciata dopo le battaglie con i Thunder, è stata persa una grande occasione. James meglio in campo che fuori, quando non ha trovato di meglio che attribuire alla panchina le colpe della sconfitta: lo possiamo dire noi al bar, ma non lui e lo staff tecnico dei Cavs (staff tecnico, insomma) che dopo l'esonero di Blatt hanno scelto un'impostazione da NBA classica, con stelle indiscutibili, abuso di isolamenti e panchinari che sembrano psicologicamente far parte di un'altra squadra, al di là del fatto che in altre serie almeno venivano coinvolti sugli scarichi. Detto questo, con i primi quintetti la finale è apertissima e ad un ritmo basso, quello che i Cavs sono riusciti a tenere fino al solito (anche se non dai soliti) tasto schiacciato da Golden State, possono vincere sempre di puri Big Three. Rispetto al resto dei playoff dei Cavs è stato subito evidente il minore impatto dei tiri da tre, da quelli di Frye a quelli di J.R. Smith, in campo poco e timidamente. Però gli Warriors sono una vera squadra, comunque vada a finire. E soltanto quando si esce dal circuito degli highlights lo si comprende pienamente.

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