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Curry e Thompson, i migliori nei momenti peggiori

Curry e Thompson, i migliori nei momenti peggiori

Redazione

31.05.2016 ( Aggiornata il 31.05.2016 09:55 )

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I Golden State Warriors sono riusciti, non si sa come, a sopravvivere nelle finali della Western Conference ad una bellissima, commovente, versione degli Ohlahoma City Thunder e da giovedì si giocheranno il titolo NBA contro i Cavs autogestiti, ma con qualche soldo in più rispetto alla Democracia Corinthiana di inizio anni Ottanta, di LeBron James, Love e Irving. Anzi, si sa come: Steph Curry e Klay Thompson, che soprattutto in garasei (Thompson) e garasette (Curry) hanno praticamente da soli tenuto a galla i Warriors nel momento dell'assoluto dominio fisico degli avversari, permettendo a Green e al resto della squadra di salire di tono e di finire da Warriors, con difesa dinamica e campo allargato in attacco. L'elenco dei record è noioso e fa tanto copia e incolla, ma fra i tanti almeno uno va ricordato: è soltanto la decima volta nella storia dei playoff che una squadra vince dopo essere stata in svantaggio 3 a 1, farlo poi contro Durant e Westbrook in missione dà al tutto un valore storico di cui bisogna rendersi conto subito per non apprezzare fuori tempo massimo ciò che stiamo vedendo. La partita decisiva della Oracle Arena ha visto i Thunder surclassare i campioni nei primi due quarti: non tanto per il punteggio, quanto per il dominio assoluto sottocanestro dove Adams e Ibaka hanno reso impossibili le chiusure di solito (di solito contro squadre diverse dai Thunder) facili degli Warriors, costringendoli fin da subito ad affidarsi al tiro dai tre. Con Thompson partito freddo, Curry straraddoppiato, Green molto nervoso e la mossa di Iguodala in quintetto al posto di Barnes che non ha pagato in attacco, pur essendo da subito efficacissima nel limitare Durant, su cui l'MVP delle scorse Finals si è stampato quasi di fisso. La bravura di Golden State è stata quella di resistere, con la testa giusta, ai momenti peggiori in cui i Thuder arrivavamo su qualsiasi rimbalzo grazie anche a un Robertson obbligatoriamente battezzato e un Adams passato ormai da gregario a stella. Poi il tiro da tre punti (7 di Curry e 6 di Thompson, com squadra 17 su 37) ha portato la partita sui binari dove il treno dei Warriors viaggia velocissimo, abbellendo anche i settori deficitari. Ma il 96-88 di garasette non può essere ridotto ad un'analisi tattica pur interessante, resa ancora più interessante dal 'nuovo' Westbrook difensore meno istintivo e creatore se non di gioco almeno di buoni scarichi, perché questa sfida purtroppo terminata contiene tante sotto-storie. Prima di tutto quella dell'ennesima rimonta della squadra di Kerr, sprofondata anche a meno 13: l'anima dei Golden State Warriors è qualcosa che la mette sullo stesso piano di grandi e plurivincenti dinastie del passato, pur con un secondo titolo tutto da conquistare e con minore completezza nei vari ruoli, al di là del fatto che nel 2016 il ruolo sia un'opinione, quasi uno stato d'animo. C'è poi il discorso su questo ciclo dei Thunder, appeso alle decisioni di Durant che dal primo di luglio potrebbe andare dove vuole: al limite anche rimanere, dando fiducia a Donovan dopo un primo anno molto positivo in cui la squadra ha in parte cambiato pelle. Ma la delusione enorme, superiore a quella delle Finals 2012 perse con molti rimpianti contro gli Heat, forse gli darà altri consigli: lo vogliono tutti e fra le squadre da titolo quelle più adatte a lui sarebbero gli Spurs, bisognosi di punti facili fuori dallo schemino, ma anche gli Warriors che con Durant diventerebbero ancora più estremi ed estremisti. Il presente è però di Golden State e Cleveland, due diversissime idee di NBA e di pallacanestro che se la giocheranno quasi alla pari. I Cavs hanno qualcosa in più, come organico e freschezza fisica, gli Warriors la capacità di trasformare ogni partita nella loro partita.

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