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All Star Game NBA, il passato di Bryant e il presente di Curry

All Star Game NBA, il passato di Bryant e il presente di Curry

Redazione

12.02.2016 ( Aggiornata il 12.02.2016 10:53 )

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Il fine settimana dell'All Star Game NBA è da sempre il periodo migliore per fare il punto sulla stagione, al di là di partite e di manifestazioni collaterali che stanno un po' perdendo smalto. Tenute a galla dal marketing globale della lega, forse avrebbero bisogno di una vera contrapposizione come potrebbe essere quella fra giocatori americani e stranieri militanti nella NBA (quelli definiti 'international players', ormai quasi un quarto del totale, di cui 12 canadesi), ma i numeri dicono cose diverse dalle sensazioni. Il 65esimo All Star Game sarà il primo disputato fuori dal territorio statunitense, all'Air Canada Centre di Toronto e la lega ha annunciato che sarà televisto in 215 paesi (asterisco: l'ONU ha numeri inferiori, quindi la NBA ha provveduto a qualche secessione), con telecronache in 49 lingue diverse. 336 i giornalisti non americani accreditati... La partita di domenica sera sarà l'occasione per salutare Kobe Bryant, dopo quasi vent'anni di buuu e fischi diventato personaggio 'condiviso' nella stagione dell'addio: per lui diciottesima partecipazione consecutiva all'Al Star Game, come lui nessuno mai. Condiviso non proprio da tutti, visto che Shaquille O'Neal ha dichiarato che nel suo ultimo anno non ha avuto tante celebrazioni, pur avendo avuto una carriera come quella di Kobe... Ma al di là delle celebrazioni, a Toronto la NBA rifletterà sul cambiamento epocale che i Golden State Warriors hanno portato nella lega: la novità non è infatti che siano fortissimi e che rischino seriamente di battere il record (72-10) dei Chicago Bulls in stagione regolare, la storia è piena di squadre fortissime e ognuna nel suo tempo è apparsa quasi imbattibile, ma il modo in cui manifestano la loro superiorità. Circolazione di palla a velocità vorticosa, entusiasmo elettrico ed elettrizzante, velocità soprattutto mentale, difesa dinamica, pericolosità offensiva in qualsiasi situazione, pulizia tecnica come raramente si vede oggi (e meno che mai nella NBA del quarto tempo tollerato), un leader com Steph Curry che pur avendo doti tecniche sovrumane riesce a far scattare l'identificazione negli umani come nessun grande NBA è mai stato capace di fare: nemmeno Steve Nash, per citare un altro fisico (solo apparentemente) impiegatizio. A Toronto nella partita delle stelle saranno ben tre (Curry, Draymond Green e Klay Thompson) gli Warriors in campo. Come 40 anni fa, quando l'altra edizione dei Warriors campione in carica portò in campo Rick Barry, Phil Smith e Jamaal Wilkes. Certo è che l'era Curry è al massimo del suo fulgore, al punto che stanno proliferando suoi inspiegabili antipatizzanti: gente che magari si entusiasma per schiacciate con il difensore più vicino a tre metri sostiene che Curry sta rovinando il basket perché non è un modello tecnico da imitare (invece chi fa passi ogni volta che parte in palleggio sì?), come se fosse una cosa tanto facile segnare da nove metri dopo uno step-back e con la mano del difensore sulla faccia. È probabile che Curry non sarebbe allo stesso livello in un contesto NBA classico, dove tre quarti di partita sono a relativamente bassa intensità ed i gregari non hanno lo stesso status che hanno agli Warriors (da ricordare che l'Mvp dell ultime Finals è stato Iguodala, gregario per modo di dire), togliendo quindi pressione alla loro stella. Ma la cosa non fa che accrescere il fascino di questi Warriors, al punto di vedere tifoserie avversarie entusiasmarsi più per loro che per la propria squadra. Twitter @StefanoOlivari

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