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Andrea Fortunato, vent’anni dopo

Andrea Fortunato, vent’anni dopo

Redazione

25.04.2015 ( Aggiornata il 25.04.2015 08:40 )

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Sono passati vent’anni da quel 25 aprile 1995, quando una maledetta malattia portò via all’affetto dei suoi cari Andrea Fortunato, giovane calciatore della Juventus, di cui, si diceva, sarebbe potuto diventare il nuovo Cabrini, uno degli idoli d’infanzia, terzino sinistro come lui e bianconero come lui. Fortunato venne lanciato titolare nella Signora da Giovanni Trapattoni, nella stagione 1993-94. Dopo due anni ottimamente disputati al Como, uno al Genoa e uno al Pisa, il Trap decise di affidare a lui la corsia sinistra. In una Juve che si stava attrezzando per tornare grande, Andrea partì benissimo, guadagnandosi anche la chiamata e l’esordio in nazionale, sotto la guida di Arrigo Sacchi. Un 3-0 in Estonia che sarà purtroppo l’unico gettone in azzurro della sua carriera. In quella prima stagione juventina, Fortunato collezionò ventisette presenze. Ma a un tratto le sue prestazioni in campo calarono vistosamente. “Si è montato la testa”. “Si sente arrivato”. “Si allena male”. “È lavativo”. Le maldicenze sul suo conto si sprecarono quando venne fuori l’amara verità. Una pugnalata che sbugiardò la critica, facendo provare vergogna a chi aveva messo in dubbio persino la sua serietà professionale. Lo staff medico della Juventus fece delle analisi profonde per scoprire come mai il ragazzo si sentisse sempre stanco e spossato e fu una sentenza terribile: leucemia acuta linfoide. Ecco cosa attanagliava il ragazzo, che cominciò un periodo di dura lotta contro la malattia, prima all’ospedale Molinette di Torino, poi al Policlinico Silvestrini di Perugia, dove venne trasferito in estate, quando sorse un nuovo problema: occorreva infatti il trapianto totale di midollo osseo e non si trovò un donatore compatibile. Si setacciarono altre vie, prima quella dell’innesto di cellule sane della sorella Paola e in un secondo momento quelle di suo padre Giuseppe. La chemioterapia sembrò ridurre il male e dopo alti e bassi, provò a farsi largo l’ottimismo. Anche perché Fortunato lottava con vigore e pareva determinato a fare sua la battaglia. In ottobre lasciò l’ospedale e riprese l’attività sportiva, soprattutto nelle sedute di palestra. “Non ho mai smesso di sentirmi un atleta, anche se all’inizio è stato tremendo: un giorno ti ritrovi tra i sani, quello dopo tra i quasi incurabili”, dichiarò in un’intervista Fortunato, dove descrisse inoltre il suo rapporto con Fabrizio Ravanelli, diventato per lui “come un fratello”: i due si sentivano tutti i giorni e Penna Bianca mise a disposizione della famiglia la sua casa perugina. Le cose andarono meglio e il ritorno in campo pareva avvicinarsi. La Juve stava per tornare a vincere il titolo nove anni dopo l’ultimo trionfo. In panchina non c’era più Trapattoni, ma Marcello Lippi, il quale convocò Fortunato per una partita a Genova contro la Samp, mandandolo però in tribuna. Era il 26 febbraio 1995, il buio sembrava alle spalle. Invece la situazione precipitò nuovamente e definitivamente due mesi più tardi, in aprile. Una polmonite abbassò le sue difese immunitarie e gli risultò letale. Il 25 aprile Fortunato si spense al Policlinico di Perugia. La notizia scosse il mondo del calcio e arrivò subito a Vilnius, dove la nazionale italiana stava preparandosi a giocare un incontro di qualificazione agli Europei contro la Lituania. I funerali si svolsero il 27 aprile a Salerno, la città natale di Andrea: particolarmente toccante sarà il discorso di uno sconvolto Gianluca Vialli, grande amico di Fortunato. Neanche un mese più tardi, i suoi compagni di squadra vinceranno lo scudetto numero 23 della storia juventina: 23, già. Proprio come gli anni di Andrea Fortunato, a cui tutta la squadra bianconera dedicherà quel successo tanto atteso. Giovanni Del Bianco   [gallery link="file" ids="24571,24570,24569,24568,24567,24566,24565"]

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