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Quando il Porto superò il Bayern col tacco di Allah

Redazione

21.04.2015 ( Aggiornata il 21.04.2015 16:00 )

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A poche ore dal match di ritorno tra Porto e Bayern Monaco, riviviamo il precedente più illustre tra le due squadre, quando i lusitani vinsero la loro prima Coppa dei Campioni a danno proprio dei bavaresi. Correva l’anno 1987, finale in programma al Prater di Vienna, sede abbastanza usuale tra anni Ottanta e Novanta (ben tre volte nell’arco di otto anni). Le squadre. Quel Bayern Monaco era composto da dieci giocatori tedeschi e uno belga, il portiere Pfaff. In realtà, tra i tedeschi, ce n’era anche uno della Germania Est, il centrocampista Norbert Nachtweih, che nel 1976 approfittò di una partita dell’Under 21 in Turchia per fuggire da Oriente a Occidente insieme al compagno di squadra Jürgen Pahl: i due fuggiaschi si beccarono una squalifica di un anno da parte della Fifa e poi tornarono a calcare i campi da calcio. Tecnico della squadra era il grande Udo Lattek, uno dei tecnici più vincenti della storia del calcio mondiale (assieme a Trapattoni, è l’unico ad aver trionfato in tutte e tre le coppe europee). Il Bayern si presentava come favorito alla finale viennese, grazie a una rosa che vantava campioni assoluti, come i futuri interisti Andreas Brehme e Lothar Matthäus. Di fronte, il Porto di Artur Jorge, capitanato dal difensore João Pinto e meno autarchico dei tedeschi. C’erano infatti un polacco, il portiere Mlynarczyk, un algerino, Madjer, e tre brasiliani, Celso, Casagrande e Juary. Il percorso. Rabat Ajax (Malta), Vitkovice (Cecoslovacchia), Brøndby (Danimarca), Dinamo Kiev (Urss) gli avversari fatti fuori dai portoghesi; PSV (Olanda), Austria Vienna (Austria), Anderlecht (Belgio), Real Madrid (Spagna) quelli sbattuti fuori dalla porta da parte del Bayern. Anche il blasone delle squadre sbattute fuori dalla porta, nel percorso verso la finale, dunque, dava più credito ai tedeschi rispetto al Porto, alla sua prima finale di Coppa dei Campioni (nel 1984 aveva perso la finale di Coppa delle Coppe contro la Juventus, unica sconfitta della storia della squadra in una finale europea). E veniamo alla finale di Vienna. Le squadre si presentano prive dei rispettivi bomber: al Bayern manca Roland Wohlfarth, autore di quattro reti nell’edizione interessata, al Porto Fernando Gomes, autore di cinque gol e Scarpa d’oro nell’83 e nell’85. Non è l’unica assenza in casa dei Dragões: anche Jaime Pacheco e Lima Pereira devono saltare la gara più importante mai giocata dal club. L’avvio di gara dà ragione al Bayern, che dopo 25’ passa con il numero 11 Ludwig Kögl, che di testa sblocca l’incontro, approfittando di un assist involontario di un difensore portoghese. All’intervallo, i tedeschi conducono 1-0. Artur Jorge corre ai ripari togliendo il centrocampista Quim ed inserendo al suo posto un’altra punta, il brasiliano Juary, ex giocatore di Avellino, Inter, Ascoli e Cremonese (22 reti in cinque stagioni italiane, tutte festeggiate con dei giri attorno alla bandierina del corner). Le speranze dei tifosi portoghesi sono riposte su Paulo Futre, attaccante che negli anni Novanta approderà alla Reggiana, ma che sarà goduto poco in Emilia, per colpa di un grave infortunio al ginocchio, che comprometterà la sua carriera. Ma Futre è nervoso e spreca tanto. Gli uomini della provvidenza diventano così proprio Juary e l’algerino Madjer, quest’ultimo uno dei calciatori africani più famosi ai tempi. A cavallo tra il 78’ e l’80’, Juary e Madjer ribaltano la partita. Il brasiliano serve prima l’assist all’algerino, il quale supera Pfaff con un gol di tacco che gli varrà il soprannome di “tacco di Allah”. Poi, ecco lo scambio di ruoli: Madjer in versione assist-man e Juary in quella di finalizzatore. Dallo 0-1 al 2-1 in un batter d’occhi. Il Porto si ritrova avanti e una volta sorpassati gli avversari, deve solo resistere nei dieci minuti finali, per portare a casa la sua prima Coppa dei Campioni. Per tornare al massimo successo continentale, i Dragões dovranno attendere l’avvento di José Mourinho e l’edizione del 2003-04. Per il Bayern invece è una grossa occasione persa per tornare sul tetto d’Europa dopo il grande ciclo degli anni Settanta. In piccolo, una rimonta simile a quella che subirà nel 1999 contro il Manchester United. Due minuti di follia che costano un’intera stagione. Giovanni Del Bianco

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