Il terzo mandato di Michel Platini come presidente dell'UEFA da un lato fa piacere a chi come noi detesta la retorica dell'esperienza, che blocca ogni cambiamento: nel 1992, quando iniziò la sua carriera come dirigente nel comitato organizzatore del Mondiale di Francia '98, aveva 37 anni e alle spalle solo una grandissima carriera da calciatore, un breve periodo come allenatore e studi modesti, senza far parte di alcun 'giro'. Ma dall'altro fa riflettere sul modo in cui il potere nel calcio venga gestito, visto che Platini è stato eletto per acclamazione, come i segretari dei peggiori partiti... Significativo che non ci fosse un secondo candidato per gestire l'ente che gestendo la Champions League e comunque controllando il calcio più ricco del pianeta (quello della Champions Laegue e dei grandi club) è in grado di condizionare tutto. Come mai? Fondamentalmente per quattro ragioni.
La prima è che Platini ha stoppato ogni tentativo di secessione dei vari Real Madrid e Chelsea, nella direzione della mitica Superlega, rendendo ancora più grande il divario fra i grandi club e gli altri. Il fair play finanziario, applicato con i nemici e interpretato con gli amici (il PSG su tutti), altro non è che un modo legale per cristallizzare le posizioni esistenti, visto che i tifosi e l'immagine internazionale si guadagnano nel lungo periodo. Nell'Europa del 2015 il Manchester City sarebbe condannato a rimanere il Manchester City, mentre in quella di 5 anni fa ha avuto la botta di fortuna che ha cambiato il suo destino. I soldi della Champions League non sono nemmeno l'entrata principale dei top club, ma comunque contribuiscono a spaccare in due i campionati nazionali ispirando anche politiche disastrose (In quanti considerano, anche in Italia, la Champions League come chiave di volta del proprio futuro? Almeno in 8, a fronte di 2 posti e mezzo disponibili...).
La seconda grande mossa di Platini è stata quella di dare una speranza e una visibilità, almeno fino a Natale, ai club delle nazioni marginali (ma votanti), a scapito della classe media dei grandi tornei: visto come molti hanno considerato l'Europa League negli ultimi anni (non in questo), non gli si può dare torto. La terza architrave del potere di Platini è quella di avere allungato la vita delle nazionali, senza più senso se le si apre anche agli stranieri come se fossero club, inventandosi la Nations League (che farà danni dal 2018, quando Platini sarà in corsa per la successione a un Blatter probabilmente quasi defunto, se la natura farà il suo corso) e perorando la causa delle 40 (!) squadre nella fase finale del Mondiale.
La quarta grande mossa di Platini, forse la più sottile, è stata quella di vendersi mediaticamente come difensore del cosiddetto 'calcio di una volta'. In gran parte peggiore di quello di oggi, soprattutto come livello tecnico, ma guai a dirlo ai professionisti della nostalgia. Di qui proposte retrograde (l'opposizione alla tecnologia) ma anche interessanti (tipo quella di avere almeno 6 giocatori nazionali sempre in campo), utili per titoli di giornale ma spesso con zero possibilità di superare l'ottusità liberistica e mercatistica dell'Unione Europea. Conclusione? Gli ex calciatori non sono tutti stupidi, per questo in molti paesi (compreso il nostro) li tengono sempre ben lontani da dove si decide. Platini arriverà nel 2019 a comandare il calcio nel mondo e anche noi, come un delegato moldavo qualunque, lo eleggeremmo per acclamazione.
Twitter @StefanoOlivari