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Pallotta a canestro (Guerin Basket)

Redazione

17 marzo 2015

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Settima giornata di ritorno, la serie A comincia a respirare aria di playoff e il campionato si appresta al rush finale con squadre che corrono (Milano, Sassari, Trento e Venezia) e, tante, squadre che si trascinano (Caserta, Varese, Cantù, Brindisi, Pesaro, Avellino e anche Roma). In palazzi dello sport dove spesso si sta larghi, si giocano partite, si medita sul futuro, si guardano nuvole nere che si addensano all’orizzonte. A Milano si parla di top player per la prossima stagione e si da per scontato l’arruolamento di Datome in canotta Olimpia. A Roma si rincorrono le voci di un interessamento di Pallotta alla Virtus, ma per rendere la cosa più concreta (ma al contempo più fantasiosa) il tutto verrebbe con il coinvolgimento di Datome, nuovo uomo immagine della crociata cestistica dei colonizzatori  a stelle e strisce. Nel frattempo l’America si accorge che quel ragazzo che assomiglia a Gesù Cristo, che per un anno e mezzo ha scaldato le panchine di tutti i campi NBA ma non è riuscito a consumare le scarpe giocando, di basket ne sa ed è anche bravino. Lui si diverte e ci provino pure gli Armani o i Pallotta, ma togliere il gioco a un ragazzo che finalmente si diverte sarà molto difficile. Pistoia sfiora l’impresa contro Venezia, il suo coach sa che è cosa difficile e non se la prende più di tanto per il risultato finale, ma forse qualcosa da dire ai suoi, alla fine, ce l’ha. A dir poco mostruosa la partenza nel primo quarto, quando le guardie di casa bruciano la retina e segnano la cifra record di 36 punti. Purtroppo però la sconfitta di Pistoia parte proprio da qui: quando hai il 75% da tre (6 su 8 ) e segni quasi 40 punti in dieci minuti, di difendere ti passa la voglia e così anche di dare la palla dentro. Così, quando Milbourne non vede più il canestro (e la media tiro da fuori complessiva scende sotto il 15%), non si riesce a trovare la strada per aprire un varco nella difesa della Reyer via via più solida. Sull’altra panchina il merito di Recalcati è proprio quello di non cercare strade alternative a quelle praticate abitualmente: di fronte alla foga offensiva di Pistoia, la Reyer ha reagito aumentando l’intensità difensiva e cercando punti dai suoi giocatori più pesanti (Stone e Peric) per poi giocare anche palla da fuori. In questo modo, la Reyer ha vinto i 3 periodi successivi, recuperando gi otto punti di scarto del primo quarto e infliggendone altrettanti agli avversari. Una lezione che viene da lontano, da una squadra che ha una identità di gioco, un carattere e una leadership in panchina, ma anche fuori. Cantù, reduce dalla campagna di Russia, costata un viaggio massacrante e l'eliminazione in Eurocup, cerca nuove motivazioni in campionato, dove condivide l'ottava piazza con Cremona. Caserta sembra proprio l'occasione buona per ripartire, in una partita dove gli ex sono talmente tanti, che i giocatori faticano a capire quale sia la propria panchina. Cantù è attenta e concentrata, supera l'aggressività della squadra ospite e riesce periodo dopo periodo a portare l'inerzia dalla propria parte, assicurandosi la partita e due punti fondamentali. Scoppia intanto il caso Hollis cui il coach rimprovera di non aver capito che non si trova in Lega 2... confuso parecchio il ragazzo! Con Domercant fuori, Esposito chiama a raccolta i suoi, ma la già difficile impresa, diventa disperata e non bastano la difesa aggressiva e il predominio a rimbalzo a portare a casa due punti di speranza. Fa comunque pensare che ad avere problemi di organico sia la squadra che ha più delle altre cambiato in corsa e usufruito del mercato tesserando giocatori prima voluti da Molin, poi da Zare Markovski e infine da Esposito. La permanenza in serie A ormai rimane un miraggio, ma costruire per il futuro no. Si parla, a Caserta, di Gentile per il futuro: ma la proprietà che dice? La partita tra Trento e Cremona verrà ricordata per la vittoria fuori casa di Trento e per l'eccesso di esultanza di Mitchell, che gli costerà: richiamo immediato in panchina, scuse ufficiali ai tifosi della Vanoli e la rinuncia alla consegna delle chiavi della città da parte del sindaco di Cremona. Intanto il buon Tony dovrebbe meditare di più sulle proprie medie di tiro che sono precipitate verso il basso e non litigare con i tifosi avversari. Pancotto parla della sua squadra e svela che Vitali aveva la febbre, Hayes era stato male e Mian non era riuscito a dormire: si, tutto concesso, ma Trento per Cremona era troppa cosa e ora è anche troppo lontana. A Capo d'Orlando il finale è decisamente thrilling: con 43 centesimi di secondo sul cronometro e un punto sotto, Pesaro fa una rimessa in attacco e Ross, che tenta un tiro al volo, subisce fallo da Campbell prima che il tempo scada...  o meglio: gli arbitri la vedono così. L'americano va in lunetta mentre i giocatori e i tifosi dell'Upea mettono in scena tutto il repertorio classico del “campo caldo” di terza divisione: gita a turno sulla linea di carità di tutti i giocatori a disturbare Ross con insulti, anatemi, bestemmie e promesse di vendette (di Montezuma, ma anche nostrane); sistemi di distrazione del pubblico: parolacce in vari idiomi, lancio di oggetti,  rumori, cori poco rispettosi nei confronti delle mogli di arbitri, giocatori avversari, federazione in genere;  frastuono generale. Ross (incoscienza o freddezza?) segna entrambi i liberi e Pesaro si affretta negli spogliatoi a festeggiare e a fare la doccia. Poi in sala stampa è tutto uno scambio di complimenti tra chi Paolini e Griccioli, il primo che tende la mano, il secondo che schiuma rabbia e gliela morderebbe ma che ammette il valore di Pesaro brava a rientrare. Alcune considerazioni: ma saranno successe più cose nei 39 minuti, 59 secondi e 57 centesimi precedenti o no? Perché ridursi all'ultimissimo episodio quando a metà gara c'erano 11 punti di differenza tra le due squadre? E poi: ma se proprio non li vogliamo giocare, i centesimi nel cronometro che ce li hanno messi a fare? Milano è la capitale della moda e quindi far moda è il suo mestiere. Così, i tifosi di Avellino, hanno copiato i loro colleghi della EA7 e hanno  contestato proprietà, società e Vitucci e se per i primi due i tifosi ci sono andati in rima: “Squadra senza identità, paghi chi ha responsabilità – Ridate a questa città entusiasmo e dignità” con Vitucci invece  volevano essere sicuri di non essere fraintesi: “Vitucci Vattene”. Difficile capire una contestazione nel basket, dove il patron non ha gran possibilità di fare guadagni e dove di solito dietro di lui c'è il nulla. Chiedere la testa dell'allenatore poi serve a rafforzare ancora di più la posizione dei giocatori, anche e soprattutto di quelli che hanno smesso di tirare la carretta. Avellino della partita con Sassari vince solo il primo quarto, poi le prende per trenta minuti fino al -13 finale. Rimane a 16 punti in classifica, ora in compagnia di Roma, in quella terra di mezzo che non puzza di retrocessione e non profuma di playoff. Difficile trovare stimoli, con o senza la contestazione dei tifosi. Sacchetti fa i conti con una frattura alla mano di Sosa, fuori tre settimane. Il giocatore dà la notizia con un messaggio su un social, la società lo rimprovera e il messaggio sparisce (ma l'infortunio resta). A parte questo la Dinamo vince facendo quel che sa fare meglio: controllo sulla partita, ritmo alto e dominio (+20 sugli avversari) a rimbalzo. Dura trovare crepe nel sistema di gioco di Sassari, in particolar modo quando la pattuglia  dei lunghi cattura rimbalzi a ripetizione. Basterà per i playoff? Intanto ci si arriva, poi si vedrà. Derby tra Milano e Varese, facile far pronostici tra chi è condannato a vincere e chi lo spera soltanto. L'Olimpia ha preso Elegar ala / pivot chiamato a dare una mano nel pitturato, ma non a far fare il salto di qualità e a dare una dimensione europea a un brutto anatroccolo che al di la dei confini proprio non riesce a spiccare il volo. In settimana la squadra di Banchi ha vinto con Malaga (la matematica ancora non condanna Milano) e poi … ha sbattuto contro il suo passato. Al Forum è andato in scena l'omaggio al grande Mike D'Antoni, il play per eccellenza dell'Olimpia, di cui  è stata ritirata la maglia, il leggendario numero 8 che non sarà più indossato da nessuno (e ci mancherebbe). Uno shock per chi è abituato a tifare la squadra di adesso rivedere in campo le leggende di quel manipolo di giocatori  che dettava legge in Europa, agli ordini di Peterson, sempre pronti a “sputare sangue”. Dura spellarsi le mani per le giocate di Brooks e Ragland dopo un flashback del genere. La cronaca racconta di una partenza bruciante e di tre periodi giocati senza mai alzare il piede dal gas. Poi il carburante che finisce e soli 6 punti (anche troppi a dire il vero) negli ultimi 10 minuti, quando si partiva da +23. Caja parla di buona prestazione dei suoi, ma la differenza con Milano è incolmabile. Il coach ha inserito finalmente Maynor, ma deve recuperare Kangur e  Rautins, riuscendo poi a allestire la difesa aggressiva che è sempre stata il suo marchio di fabbrica. La salvezza non dovrebbe essere un problema, forse si può guardare un po' più in là. Vince Bologna, quella detta degli italiani, ma sono White e Ray a portare la Virtus delle torri sulle spalle. Coach Valli è soddisfatto dei suoi: Imbrò e Fontecchio tengono il campo, mentre Mazzola,  stranamente, dimostra poco carattere contro la difesa brindisina. Da basket city alla Virtus di oggi il salto è enorme, quasi epocale, ma in una stagione in cui Caserta probabilmente retrocederà, Pesaro è stata ed è a rischio e Varese nella bonaccia fatica a trovare gente che remi, tenere botta rappresenta una virtù che deve essere apprezzata anche da quei tifosi che ricordano nostalgicamente la Knorr: il passato è passato. Bucchi aveva parlato di una Brindisi slegata, che vive di iniziative quando avrebbe bisogno di continuità. E’ proprio così e la sua squadra regala il primo quarto alla Granarolo e nell’ultimo, dopo aver in parte recuperato, si perde di nuovo. Il presidente Marino si interroga sulla fame di basket della città, la città si interroga sulla fame di vittorie della squadra, i giocatori si interrogano sul loro futuro. Se qualcuno mettesse testa al campionato in corso sarebbe meglio. Brutta partita quella al Palazzetto dello sport, con le squadre di Roma e Reggio Emilia tenute insieme con cerotti  e pochissime idee. La spunta Roma, squadra che parte da una difesa molto aggressiva e un ball handling prolungato (spesso oltre il limite dei 24 secondi): a volte paga, altre no. Ieri sera ha pagato in un impianto quasi deserto, al termine di una partita dal punteggio basso, premiando chi non ha avuto fretta di tirare e ha messo più intensità (leggi grinta, ma anche cattiveria … certo: sportiva) nella gara. Manetti non ha trovato modo di arginare la fisicità di Roma che, avesse un pivot degno di questo nome a libro paga, e perché no, un play maker di ruolo che va in campo senza il compito di risolvere la partita, ma con lo scopo di coinvolgere i compagni, ora sarebbe in altre zone di classifica. Reggio Emilia segna 56 punti, subisce la difesa avversaria e si trova in crisi di risultati, ma anche di gioco. La squadra è equamente divisa in molto giovani e … molto poco giovani. Ma nel basket e nello sport in generale, l’età non fa media. Luigi Ceccon, per Guerin Basket

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