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Redazione

02.01.2015 ( Aggiornata il 02.01.2015 11:35 )

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Saltando a piedi pari i bilanci del 2014, parliamo del 2015 partendo dalla squadra più importante del nostro calcio, che fino a prova contraria risulta essere la Nazionale. Bene fa Antonio Conte a ricordarlo ad ogni occasione, facendo la sua parte come del resto faceva la sua parte il Conte allenatore della Juventus leggendo provocazioni dietro a ogni convocazione di Prandelli. Questi giorni in cui il calcio di serie A è andato in vacanza, infischiandosene come al solito delle famiglie che a parole sarebbero il suo target, sono stati importantissimi per la politica sportiva anche prescindendo dal circo mediatico messo in piedi dalla coppia Renzi-Malagò per Roma 2024. In sostanza si sta decidendo l'assetto del calcio italiano del futuro e nessuno dei dirigenti che contano crede che l'idea della A a 18 squadre (bene che vada dal 2016-17) tirata fuori da Tavecchio possa avere un seguito concreto. La si ritiene però un segnale di stima nei confronti di Conte, in realtà furioso per le nemmeno tre settimane dalla fine del campionato 2015-16 all'inizio dell'Europeo francese. Non ancora ufficializzate dalla Lega, anche se lo scenario è più che probabile a meno di non inventarsi almeno un altro turno infrasettimanale o rinunciare finalmente alle vacanze di Natale. L'avevamo già scritto, lo ripetiamo: l'unico record azzurro di Conte rischia di essere quello di essere quello di dare le dimissioni da commissario tecnico della storia senza avere fallito in una grande manifestazione. Ancora 'meglio' di Fulvio Bernardini, con la cui storia ci sono diverse analogie. La più importante è quella di arrivare dopo un fallimento mondiale di portata superiore alla stessa eliminazione al primo turno della fase finale (nel 1974 a 16 squadre, nel 2014 a 32, va ricordato): in Germania salutò la generazione di Rivera, Riva e Mazzola e sembrava che a livello di giovani il calcio italiano proponesse il deserto, proprio come nel 2014. Bernardini, che passava per antipatizzante di Valcareggi (come Conte lo è di Prandelli), fu quindi nominato da Artemio Franchi non soltanto c.t. della nazionale maggiore ma anche coordinatore di tutte le nazionali, con collaboratori Bearzot e Vicini. Qualcuno ricorda le qualificazioni fallite all'Europeo 1976 (ma la fase finale era a 4 squadre, leggermente più selettiva rispetto alla formula 'cani e porci' attuale), mentre i grandi traguardi degli anni successivi hanno fatto dimenticare le polemiche feroci a cui i club sottoposero Bernardini per il numero di stage (allora non li si chiamava così), amichevoli e convocazioni 'conoscitive'. Un lavoro capillare, che riguardò più di 50 giocatori in pochi mesi, che sarebbe stato la base dell'Italia di Bearzot (diventato c.t. unico nel 1977) e anche di quella di Vicini, visto che fu proprio con Bernardini che le 'Under' smisero di essere selezioni clandestine diventando squadre vere e proprie. E fu sempre Bernardini che fece passare il concetto, sopravvissuto fino ai giorni nostri, che nell'Italia non dovessero giocare i presunti 'migliori undici', ma gli elementi in grado di formare la migliore Italia possibile. Una banalità adesso, ma un po' meno con gli occhi di un'Italia legata ancor più di oggi al campionismo. Senza farla troppo lunga, Conte è stato scelto da Tavecchio e Lotito per un discorso di questo tipo, altrimenti i suoi concorrenti non sarebbero stati altri considerati 'da progetto' come Guidolin e Zaccheroni. Purtrppo o per fortuna, però, l'Italia è diversa da quella di 40 anni fa e un commissario tecnico che pretenda di allenare, oltretutto ben sapendo come si ragiona dall'altra parte della barricata, non potrebbe in alcun caso durare a lungo. Bernardini sopravvisse, per poco, a un fallimento europeo, persone non lontane dal c.t. attuale riferiscono che Conte a questo fallimento nemmeno arriverà. Ha ancora l'immagine di vincente e la giostra dei grandi club europei reduci da un fallimento non si ferma mai, più facile saltarci sopra nel 2015 che nel 2016. Twitter @StefanoOlivari

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