I numeri sono spesso noiosi, ma portano con sè una forza intrinseca, difficile da arrestare. E le cifre sugli stranieri fanno realmente impressione: nell’ultima sessione di mercato, su 479 operazioni effettuate dai club di Serie A, 179 hanno riguardato calciatori stranieri, tenendo ovviamente conto di quelli provenienti dall’estero e di quelli già presenti sul territorio nazionale che hanno cambiato maglia in estate. In totale, corrisponde al 44% delle trattative, cioè una su due ha parlato una lingua estera. E per completare il bilancio, 12 club su 20 di Serie A hanno acquistato più stranieri che italiani.
A questo punto bisogna parlare di autentica patologia, di seria e profonda malattia del sistema. La situazione è andata peggiorando di anno in anno nel corso dell’ultimo ventennio, ma ha accelarato in maniera spaventosa nell’ultimo lustro, portando il calcio italiano all’asfissia tecnica, come ben ricordano le cifre. Provinciali come il Chievo o il Catania di un anno fa arrivano a giocare con 8 o 9 stranieri. Formazioni come Inter o Fiorentina con un paio di italiani a match, non di più. Da due anni il Napoli non acquista un italiano e Insigne soffre sempre più di solitudine. L’eccezione meravigliosa costituita dal Sassuolo, in grado di salvarsi un anno fa con Zaza e Berardi e oggi ultimo, estremo laboratorio del calcio italiano del domani, non basta a risollevare l’animo.
Perché questa nevrosi autodistruttiva? Cosa è successo davvero sul molto chiacchierato e poco analizzato mercato italiano? La sentenza Bosman è ormai lontana di quasi vent’anni e da sola non può bastare a spiegare la degenerazione in atto nelle ultimissime stagioni. Le ragioni vanno perciò cercate altrove. Certamente nei troppi procuratori presenti sul mercato italiano, quasi il doppio di quelli che contano Paesi assai più ricchi come la Germania o l’Inghilterra. In un mercato povero, gli agenti hanno succhiato l’ultima risorsa di ossigeno, imponendo acquisti intuili. La movimentazione della Serie A è senza logica: 24 nuovi tesseramenti a squadra tra luglio e agosto 2014. Ancora più insensato il dato complessivo: 56 calciatori di media nelle rose della massima categoia nella stagione 2013-14.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la vergognosa, spudorata azione dei nostri club che all’estero movimentano denaro e facili fatturazioni, spesso con giri di denaro che investono l’Europa e forse qualche bel paradiso. Ce lo diranno. Ciò che conta al momento, è che la strategia comune di agenti e presidenti spericolati segna un patto ambiguo, sportivamente criminale, che si sta mangiando il nostro patrimonio nazionale. Basti pensare che il 55% dei tesseramenti della B è fatto con calciatori della Serie A, la gran parte in prestito, molti dei quali giovani che debbono lasciare spazio a stranieri dal dubbio score per scendere di categoria. Ancora quindici o vent’anni fa, Zaza e Immobile avrebbero giocato nella Juve, Destro sarebbe stato titolare inamovibile nella Roma, Falcinelli avrebbe giocato titolare in A, mentre oggi tutti lottano – chi in provincia, chi dalla panchina, chi infine dalla tribuna – per ritagliarsi lo spazio che spetterebbe loro. In futuro, quando riguarderemo a questi tristi anni di calcio italiano, chissà come faremo solo a ricordare certi nomi.