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Stelle Comete – Massimo Orlando

Redazione

16.06.2014 ( Aggiornata il 16.06.2014 22:24 )

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Ho seguito da vicino la parabola calcistica di Massimo Orlando, mio corregionale, uno dei più fulgidi talenti del calcio italiano di inizio anni ’90, quando la Juventus decise di investire ben 6 miliardi di lire per accaparrarselo, lui appena diciottenne, proveniente dalla Reggina. Prima ancora, praticamente quindicenne, era un fenomeno in pectore nella natìa Conegliano, nel trevigiano, che a livello giovanile, al pari del Montebelluna, può vantare uno dei migliori vivai dell’intero Veneto. Molti da Conegliano vennero prelevati dalla Reggina per rinforzare l’organico della Primavera. Siamo sul finire degli anni ’80 e Massimo, abile trequartista, dotatissimo dal punto di vista tecnico e con un sinistro con cui riesce a fare ciò che vuole, è il fiore all’occhiello di quella compagine giovanile e, pur in circostanze fortuite (gli infortuni in serie dei centrocampisti reggini), riesce a entrare nel giro dei titolari sotto la guida di Nevio Scala – tecnico innovativo e in grande ascesa – che gli dà piena fiducia dopo averlo osservato da vicino più volte. Già a 16 anni aveva esordito “tra i grandi” a Conegliano, insomma, è uno che sa bruciare le tappe. Nei due anni cadetti con la squadra amaranto (con la quale, nella seconda stagione, arriverà a disputare uno storico spareggio promozione per la serie A contro la Cremonese, perdendo però l’opportunità di salire per la prima volta nella massima serie), totalizza ben 57 presenze con 3 reti. E’ inoltre nel giro di una splendida Under 21 che con Vicini in panchina trionferà (e sarà il primo di un fantastico tris, tra il ’92 e il ’96) nell’Europeo di categoria. Con lui in squadra gente come Albertini e Corini (i due califfi del centrocampo), le punte Melli e Buso, vero bomber della Nazionale, i difensori Favalli e Fresi e molti altri futuri protagonisti in serie A. L’anno del passaggio alla Juventus (cifra record per la Reggina, che con parte di quei soldi inizierà a strutturare un bellissimo centro sportivo) è il fatidico 1990, in una sessione di mercato – quella correlata con gli attesissimi Mondiali di calcio italiani – incentrata sul clamoroso acquisto sempre da parte della squadra bianconera di Roberto Baggio della Fiorentina. Sarà proprio Massimo Orlando ad andare a sostituire il campione – veneto anch’egli – nella Viola. Un’eredità certo pesantissima, una pressione che Orlando deve aver necessariamente avvertito fuori dal campo ma che sul rettangolo verde non lascia trasparire, cominciando a prendere da subito confidenza con un ambiente molto in subbuglio e ancora scosso, tradito. Orlando raccoglie la sfida, non è certo Baggio, non ha il gol nel sangue e nemmeno le medesime caratteristiche tecniche ma è un fantasista dai piedi educati, all’occorrenza riesce a sganciarsi sulla sinistra, ha un buon dribbling, è generoso (e questa caratteristica di lì a poco si rivelerà fatale per lui purtroppo). A conti fatti, ad appena 19 anni, è titolare inamovibile in serie A, i tifosi viola lo hanno adottato, “perdonandogli” qualche intemperanza giovanile, e lui sul campo li ha pienamente ripagati. Diventa un punto fermo per il futuro, in una fase di grande spinta propositiva per l’ambiente gigliato, esemplificato dall’esuberanza del presidente Vittorio Cecchi Gori che intende allestire una squadra coi fiocchi, pronta a sfidare gli squadroni metropolitani. Nel ‘92/’93 la rosa viola è composta da sicurezze come lo stesso Orlando, bomber Batistuta, già uno dei migliori centravanti del campionato italiano, riuscito a imporsi in serie A in un batter di ciglia, l’ex barese Maiellaro (con il quale Massimo si ritroverà a dividere il ruolo di trequartista in campo, lasciandogli la maglia numero 10, iniziando una difficile convivenza tattica) ma viene altresì stravolta dall’avvento di autentici big. Nazionali esteri come il tedesco Stefan Effenberg, il danese Brian Laudrup – fratello del più famoso Michael e freschissimo vincitore di un clamoroso Europeo - , l’ex romanista Fabrizio Di Mauro, i difensori Luppi e Carnasciali, il bomber Ciccio Baiano, esploso con Zeman nel Foggia dei miracoli. Sono in molti a scommettere sulla Fiorentina, che si candida ad autentica outsider del campionato italiano. Certo, la creatura messa in mano a Radice è tutta da assemblare ma i nomi sono altisonanti. La squadra invece, dopo un buon avvio, cade in una spirale sempre più negativa. I risultati non arrivano, manca l’amalgama, la vicinanza di tanti, troppi giocatori tecnici ma anche in un certo senso anarchici non giova alle alchimie del pur bravissimo e navigato mister che pagherà per tutti la rovinosa caduta libera della squadra con un esonero, a quel punto scontato. La panchina passa a un tecnico sanguigno come Agroppi, ma il compito è assai arduo e si arriva così all’ultima giornata a giocarsi tutto. Nonostante la larghissima vittoria contro il Foggia, l’Udinese, rivale nella corsa per la permanenza in A, strappa un pareggio alla Roma (i maligni sosteranno che sia tutto scritto, visti i risaputi passaggi per la stagione successiva di Balbo nella Capitale e il ritorno conseguente di Carnevale in Friuli) e ottiene la salvezza. Dietrologie che non mutano un finale senza appello: la Fiorentina mestamente scivola in B anche se nella memoria rimangono impresse alcune partite che danno idea di quanto potenziale ci fosse. In serie B il Presidente riesce a trattenere tutti i Big per un campionato da record (solo recentemente battuto dal Palermo di Iachini e Zamparini) ma qui Orlando è protagonista a metà. Inizierà infatti un periodo non proprio idilliaco con l’allenatore Claudio Ranieri, chiamato in soccorso della Viola e soprattutto a rilanciarla nei successivi campionati in serie A. La Fiorentina tornerà buona protagonista nella massima serie, con vittorie in Coppa Italia e successivamente nella Supercoppa Italiana (oltre a un buon cammino europeo in Coppa delle Coppe) ma, come accennato, per Massimo saranno traguardi da inserire nel Palmares ma con la sensazione che il meglio per lui fosse già alle spalle e coinciso per l’esattezza proprio con l’anno della retrocessione. Un anno amaro che lo vide tra i pochi a salvarsi per continuità di rendimento, attaccamento alla maglia e prestazioni sempre all’altezza, tale da richiamare l’attenzione di Arrigo Sacchi che lo mette in preallarme in vista di una possibile (e meritata a quel punto) convocazione in Nazionale. La retrocessione appunto cambierà il suo destino, visto che Sacchi andrà a premiare altri candidati, nella fattispecie lo juventino Antonio Conte e la colonna milanista Chicco Evani. Negli anni con Ranieri, Orlando perderà terreno nelle gerarchie e subirà un grosso infortunio da cui in pratica non si risolleverà più. Un infortunio al ginocchio, frutto di una banale, col senno di poi, scivolata in mezzo al campo in una partita contro il Bari. Sarà operato e seguito dai migliori specialisti del mondo, appoggiato da ex calciatori che come lui furono costretti a lunghi stop per infortuni, tra cui Antognoni che non lo lascerà mai solo in questo periodo, ma di fatto Orlando comincerà convivere con la paura, legittima, di non tornare più il giocatore di un tempo. Quando scende in campo è visibilmente frenato, le tante ore di palestra a cui non corrispondono le effettive ore di gioco fanno sì che il suo recupero agonistico sia molto graduale e soprattutto – cosa più grave – perennemente accompagnato da dolori lancinanti al ginocchio. Non mancano stimoli e voglia (cosa che serpeggia negli ambienti), semplicemente non ce la fa più e paiono del tutto superflue le apparizioni (sporadiche) al Milan nel ‘94/’95 (solo due presenze per un minutaggio irrisorio) e alla Fiorentina/bis tra il ’95 e il ’97. Ad appena 26 anni in pratica Orlando termina la sua carriera, anche se stoicamente vorrà darsi un’altra opportunità, firmando un contratto con l’Atalanta che dimostra comunque di credere in un suo ipotetico ritorno a buoni livelli. Invece con la Dea metterà a referto in tre campionati solamente 12 presenze, segnando un gol, l’ultimo della sua carriera professionistica, nonostante un altro gettone di presenza con la Pistoiese nella stagione 2000/’01. Questo sarà proprio il capolinea per Orlando che rescinderà il suo contratto, valido ancora per un anno, per i continui malanni fisici che lo tormentano. Di recente ha fatto scalpore la notizia che lo vedeva allarmato per la sindrome di Sla, ma il suo era soltanto un grido, l’ennesimo proveniente da un mondo del calcio, sempre più spaventato nei suoi protagonisti, alcuni dei quali, come lui, curati per tutto l’arco della carriera, a suon di terapie e medicinali. D’altronde l’eco della morte di Borgonovo, suo grandissimo amico ai tempi della Fiorentina, con cui spesso condivideva la camera in ritiro, la sua battaglia contro la malattia, la sua testimonianza, sono ancora molto vicini, molto forti, la sua vicenda toccante, tale da non lasciare indifferenti nessuno. Orlando, dopo una brevissima esperienza alla guida di una formazione giovanile viola e da commentatore tv, attualmente è fuori dal mondo del calcio, un mondo che, a conti fatti, gli ha dato grandissime emozioni, ma che gli ha lasciato soprattutto rimpianti. (a cura di Gianni Gardon)

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