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Anni 90: Thomas Hässler, il piccolo grande mediano della Roma

Redazione

4 giugno 2014

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Coppa Uefa edizione 1989-90, la Juventus affronta in semifinale il Colonia, i bianconeri passano, raggiungono l’atto conclusivo della competizione e sollevano il trofeo contro la Fiorentina. Nella doppia sfida contro i tedeschi incrociano un giovane mediano talentuoso: biondo, piccolino ma dal controllo di palla perfetto e dal dribbling secco, si chiama Thomas Hässler e viene letteralmente prenotato dalla dirigenza torinese, qualche mese dopo vestirà bianconero. Classe 1966, nasce nella parte Ovest di Berlino, nel quartiere Wedding, a dieci anni viene ingaggiato dal Reinickendorfer Fuchse dove rimane tre stagioni, gli allenatori lo giudicano sistematicamente prima di averlo visto all’opera, per tutti è sempre troppo basso ma quando accarezza il pallone ribalta ogni giudizio. Perde un fratello giovanissimo in seguito ad una leucemia fulminea, nel 1983 passa al Colonia ma la lontananza da casa lo tormenta ed è più attratto dalla vita notturna che dal campo, è il periodo più buio della sua vita, fin quando il suo allenatore, Udo Lattek, lo prende in disparte e lo scuote nell’animo. Hässler inizia a ingranare diventando irremovibile nello scacchiere del Colonia, nel 1988 entra nel giro della Nazionale tedesca con la quale collezionerà 101 presenze disputando le Olimpiadi di Seul. Nel novembre del 1989, quando la storia del mondo cambia e il muro della sua città viene distrutto, lui è in ritiro in vista della gara contro il Galles nella quale siglerà il gol vittoria. Il 1990 è l’anno di svolta della sua carriera: incrocia la Juventus e conquista soprattutto il Mondiale in Italia. L’ascesa di Hässler sembra inarrestabile ma l’impatto con la Serie A non è facile, i bianconeri di Maifredi vivono una stagione complicatissima e rimangono fuori anche dall’Europa, proprio con il tecnico bresciano il tedesco instaura un rapporto pieno di incomprensioni, viene infatti relegato sulla fascia destra, fuori dal gioco e il suo contributo non è mai in linea con le aspettative. L’anno travagliato sotto la Mole si conclude con un addio senza troppi rimpianti, sbarca a Roma per 12 miliardi, uno in più della cifra pagata dalla Juve al Colonia, e diventa a tutti gli effetti l’uomo cardine della mediana giallorossa. In poco tempo ottiene fiducia e consensi, l’empatia con il pubblico romanista è immediata grazie anche al gol del pareggio nel derby del marzo ’92, la Curva Sud lo adotta come nuovo idolo ribattezzandolo “Tommasino”, un diminutivo perfetto per i suoi 166 cm. Tre stagioni nella Capitale, nessun trofeo ma la convinzione di essere prezioso e sempre utile alla squadra, i giallorossi vivono annate opache, un periodo avaro di soddisfazioni che culmina con il passaggio di proprietà, Franco Sensi rileva la società ma un anno dopo Hässler saluta l’Italia e torna in Germania al Karlsruhe. Si aggrega alla nazionale di Berti Vogts che vola negli Stati Uniti per difendere il titolo conquistato quattro anni prima, i tedeschi però deludono ed escono clamorosamente ai quarti contro la Bulgaria. La Germania si avvia ad un primo cambio generazionale ma Hässler rimane nel giro delle convocazioni e partecipa anche a Euro ’96. La finale con la Repubblica Ceca entra di diritto nella storia del calcio grazie a Bierhoff che pareggia al 73’ e decide il match con il primo golden goal. Hässler si mette al collo un’altra medaglia d’oro, disputa anche i Mondiali di Francia e l’Europeo del 2000 a dimostrazione di come sia davvero indispensabile. Nel frattempo passa al Borussia Dortmund prima di chiudere al Monaco 1860, quattro stagioni e ancora qualche sprazzo di classe che gli valgono la chiamata inattesa dell’Austria Salisburgo dove chiuderà la carriera nel 2004. Due anni di pausa e poi ancora calcio, sempre nel suo Colonia come allenatore delle giovanili e successivamente in qualità di vice-tecnico in prima squadra, in mezzo, una rapida parentesi sulla panchina della Nigeria al fianco del maestro Berti Vogts. Mezz’ala classica, impeccabile con entrambi i piedi e specialista dei calci di punizione, è stato uno dei migliori centrocampisti tedeschi degli Anni 90, piccolo ma carismatico, imprendibile negli spazi stretti, ha vinto meno di quanto meritasse con i club, togliendosi però tutte le soddisfazioni possibili con la nazionale tedesca, quella squadra che non poteva fare mai a meno di lui. Matteo Ciofi

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