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Il dovere di raccontare una storia: Matteo Marani e il Guerin Sportivo sopravvissuto

Redazione

30 maggio 2014

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Il blog Someone still loves you, Bruno Pizzul ha dedicato ieri un articolo al Guerin Sportivo. Ve lo riproponiamo qua integralmente, perché in redazione ci siamo emozionati tutti quanti nel leggerlo. Emozioni che proverete sicuramente anche voi lettori: Sono passati tanti anni ormai, e adesso posso dirlo: se mi sono laureato con imbarazzante ritardo, la colpa è anche di Byron Moreno o di Fabio Grosso, di Bocelli in cabina di commento con Pizzul o di Civoli e del suo cielo azzurro, di Vieri che la mette alta sopra la traversa a due passi o della parabola di Pirlo contro il Ghana. La colpa è anche vostra, se ci ho messo un paio di estati in più a laurearmi, a smettere di diventare grande. La colpa è vostra se ho assaggiato i pavimenti delle case dei miei amici per tutti i gol sbagliati, se ho perso notti ad aggrovigliarmi lo stomaco ricordandomi la sensazione tattile delle mie mani appoggiate al vetro del televisore 14 pollici durante i supplementari contro la Germania. Sempre vostra, la colpa per le estati chiuso in casa a guardare la Svezia a Usa ’94 o un portiere paraguaiano a tirare punizioni, la colpa è di tutti voi: della Nazionale, di Pizzul, di quella cosa insomma che capita ogni quattro anni e la chiamiamo (unici al mondo) al plurale, perché al singolare non riusciremmo a farci stare dentro tutti i suoi significati. C’è il calcio, e ci sono i Mondiali. Quasi un altro sport. Perchè se il Calcio è nostro, i Mondiali sono di tutti. Se il Calcio divide, i Mondiali lacerano, ci separano fino a rimescolarci tra chi tifa la Nazionale e chi la detesta, finendo per riunirci ancora in un miscuglio di contraddizioni planetarie che hanno segnato la storia delle nostri estati e del nostro paese. Abbiamo pensato allora di provare ad avvicinarci alla fatidica data del 12 giugno, quando il Brasile esordirà a San Paolo contro la malcapitata Croazia, facendoci accompagnare da alcune figure simbolo dei Mondiali. Niente schede tecniche sulle rose delle squadre, niente aneddoti introvabili, niente sofismi alla Sconcerti o interpolazioni con MatLab degli algoritmi dei passaggi laterali di Iniesta: i Mondiali sono i Mondiali perché fanno tuffare nelle fontane delle nostre città le nostre madri, fanno bestemmiare sul divano i nostri padri, fanno prendere le multe ai nostri amici e fanno issare sui tetti delle utilitarie le nostre amanti. I Mondiali sono il Calcio tagliato male, coinvolgono ogni fascia d’età e di genere, anche chi vorrebbe evitarli. Iniziamo così la marcia verso il nostro divano andando in pellegrinaggio alla redazione del mitico Guerin Sportivo, la rivista di cronaca e commento calcistico più antica d’Italia. Iniziamo da chi i Mondiali ce li racconterano: i Giornalisti. Il dovere di raccontare una storia: Matteo Marani e il Guerin Sportivo sopravvissuto «Dopo la vittoria ai rigori contro la Francia, sono tornato alle 4 in albergo a Berlino, ho preso la borsa, poi il treno fino a Dusseldorf, da lì sono salito in macchina e ho guidato fino a Bologna, arrivando a casa a mezzanotte, dove ad aspettarmi c’erano mio figlio piccolo e mia moglie, di nuovo incinta. Non ho dormito per due giorni, ho guidato 1200km senza staccare, ma ero felice, perché avevamo vinto i Mondiali e perché dopo un mese rivedevo finalmente mio figlio». Matteo Marani ha soltanto qualche anno più di me che vecchio ancora non sono, ma dirige la rivista più antica d’Italia, il Guerin Sportivo. Di tutti i ricordi che conserva della sua vita professionale, mi rimane impressa questa sua traversata in auto nella Germania appena conquistata, stanco ma estasiato. È un giornalista ma anche un padre, prima di tutto, e immaginarmelo con gli occhi fissi sul volante bearsi di quell’estate dove nascevano coppe del mondo e bambini (i suoi), mi fa capire quanto un Campionato del Mondo di Calcio riesca a fondere i livelli delle nostre esistenze. Matteo (lo chiamo per nome, tanto è docile nell’accogliermi in redazione) mi spiega i lavori di questi giorni di fine maggio: numeri speciali da impaginare, rose ancora da definire, le foto da scegliere, necessariamente belle e grandi, e soprattutto bisogna portare avanti un mensile praticamente da soli. Forse non tutti sanno che cosa ha rappresentato il Guerin Sportivo per il racconto del calcio in Italia, ma basterebbe notare l’anno di fondazione per comprenderlo: 1912. Nato come un foglio di carta verdolina, negli anni è diventato il punto di riferimento per il commento e l’analisi calcistica, sempre controcorrente, passando per diversi formati: da giornale a rivista, da settimanale a mensile. Soprattutto, il Guerino ha pubblicato le firme migliori del giornalismo sportivo italiano (fu diretto anche da Brera, celebre la sua rubrica sferzante, l’Arcimatto, segnatevelo come nome se volete aprire un blog), diventando una palestra di penne (Bianciardi, Bortolotti, Pastorin, Sconcerti… ) e di idee. Oggi ci sembra scontato vedere che la Gazzetta apra con la vittoria della Liga dell’Atletico, trent’anni fa era fantascienza solo pensarlo: il Guerino fu il primo a dare spazio al calcio internazionale, a un taglio polemico e mai servile, non adagiandosi sui luoghi comuni ma anzi lanciando prospettive diverse, opinabili ma sicuramente mai banali. Poi il futuro è arrivato e ha chiesto il conto anche alla Storia, e nel 2009 il prode Guerinetto ha rischiato di fallire. È rinato come mensile, doloroso sacrificio di carta per mantenere viva la voce del racconto «passionale», come mi spiega Marani in maniche di camicia, seduto sulla poltrona del suo ufficio circondato da giornali, vecchie collezioni di Guerino, Almanacchi Panini, gagliardetti di squadre (Vado, Livorno). Montagna di carta come ovatta su questi giornate di calcio così spoglie e disadorne. Ricordo la mia prima copertina del Guerin Sportivo, era un martedì di dicembre, 1999, c’erano giocatori della Lazio esultanti. Andavo ancora al liceo e non mi sembravano mai sufficienti le dosi di calcio che assumevo all’epoca. Ne volevo ancora, così trovai finalmente in edicola una sublimazione del martedi, quando dopo la radio della domenica e il quotidiano del lunedì, la settimana precipitava nel buio calcistico. Il Guerino arrivava di martedì, e diventò sia un fedele amico che uno zio saggio: dopo anni trascorsi insieme (senza saltare mai un numero), accumulando annate riposte negli scatoloni in soffitta, ancora mi intimorisce ma allo stesso tempo riesco a guardarlo dritto negli occhi. E’ una rivista di calcio, d’accordo, ma tra le righe riconosco quello stesso sguardo perplesso e critico che mi si è stampato da quando la settimana è esplosa in mille rivoli. Dove sono finiti i miei martedì? «Quando siamo passati dal settimanale al mensile, i lettori erano completamente spaesati: per trent’anni lo compri fisso al martedì, e poi ad un tratto sparisce, non lo trovi in edicola, e allora te la rifai col giornale perché magari trent’anni fa eri al liceo, eri più contento di oggi, identifichi il declino della tua vita con il declino del giornale, vorresti che la tua adolescenza non cambiasse mai, e invece ti cambia anche il Guerino, cazzo». Ti cambia tutto. Oggi si vive in una settimana calcistica fatta soltanto di domeniche e lunedì messi in fila, e tutto (o niente) nel mezzo. «Con le perdite del settimanale non ce la facevamo più, siamo stati costretti a passare al mensile - spiega Matteo - cercando di dare una nuova identità alla rivista, trovando delle chiavi». Perchè oggi c’è la Gazzetta che apre sulla separazione di Buffon e Seredova, c’è l’allucinogena SkySport24, ci sono le riviste “intelligenti”. E in mezzo, il Verdolino, che sceglie ostinatamente di continuare a parlare di calcio-e-basta: «Non è facile tenere insieme tutto. Sportweek, ad esempio, mi piace molto, ma se andasse in edicola da solo non ce la farebbe, ci sono degli obblighi da rispettare. Noi proviamo a unire tutti gli aspetti del calcio, cercando di mantenere una propria identità, senza fare la corsa sull’attualità, ma dedicandoci all’approfondimento, a trovare delle storie, parlando soprattutto alla generazione dai 30 ai 50 anni, così nostalgica del calcio degli Anni ‘80 e ‘90, portatrice di un modo completamente diverso dall’attuale di vivere questo sport. Solo così siamo riusciti a sopravvivere in edicola». Quando entro nella sede del Guerino, a San Lazzaro, mi sento inebriato e intimorito. Passi una vita ad adorare i tuoi miti e poi un giorno basta Google Maps per raggiungerli. Riflesso sul vetro della portineria della Conti Editore vedo me sdraiato sul pavimento fresco della mia stanza a sfogliare il Guerino d’estate. E quando mi ritrovo nello stanzone della redazione, c’è un silenzio e un vuoto come se ne fossero andati tutti, e fosse rimasto soltanto il pavimento, di quelle estati, di quella rivista, di quei racconti. Saranno i giornalisti reduci a raccontarci ancora una volta un altro Mondiale. «In redazione siamo rimasti in tre, un grafico, il sottoscritto e Gianluca Grassi. Abbiamo iniziato a occuparci dei mondiali da gennaio, proponendo storie come l’Argentina dei Colonelli, scegliendo le 100 partite più belle, ora andiamo diretti con tre appuntamenti: la Guida, poi parallelamente chiudiamo GS Storie sulla storia dei mondiali, se vuoi ti faccio vedere in anteprima la copertina». Matteo snocciola l’attività quotidiana portandomi fuori strada. Ero venuto per provare a strappare qualche ricordo personale, per buttarla sull’emozione e sulla retorica, ma finiamo per occuparci dell’infortunio di Mandanda o del pezzo di Spessot (uno dei validi collaboratori del GS) sulla Germania, arrivato in nottata. Perché il Guerino, nonostante al suo interno si respiri un’aria da irriducibili al fronte, la solitudine di una redazione ridotta all’osso dalla crisi del giornalismo e di un mondo che delle parole scritte non sa più che farsene, pulsa ancora, e ogni mio pavido tentativo di trascinare il discorso sul filosofico o sul sentimentale viene rintuzzato da Matteo a colpi di attualità, rivelazioni, puntualizzazioni. «Qui il direttore fa tutto, io passo le pagine dello Speciale sul Mondiale, ecco vedi, sto passando la rosa della Germania, guarda, ci sono le maglie di Finizio, una volta le disegnava a mano, ora usa il computer, ma guarda cosa ho ritrovato l’altro giorno, guarda che roba!». Una pila di disegni di giocatori di varie nazionali, periodo anni ‘80, disegnati a mano da Marco Finizio, storico illustratore delle maglie per le guide del Guerino. Spunta la rosa della Roma, tutti in fila, riconosco Liedholm. E poi sconosciuti giocatori dell’Austria, dell’Australia, perfetti nel tratto preciso della matita e dei pennarelli. Finisco per dimenticarmi dei Mondiali, accendo il fuoco, monto la tenda e mi siedo per terra ad ascoltare Matteo. «Proponiamo storie che non trovi altrove, che so, il Cagliari che fa la tourneè estiva cambiando nome e diventando una squadra americana, le classifiche dei migliori 100 realizzate soprattutto da Rossano Donnini, il più grande con cui abbia mai lavorato, un fuoriclasse. Rossano è un’enciclopedia, ha fatto gli almanacchi della panini per trent’anni, sa i giocatori francesi del ‘74 del Lille, è capace di riconoscere un tedesco del ‘76 nel Mönchengladbach. Rossano è mostruoso, ha una libreria sterminata. Le classifiche dei migliori 100 fanno discutere, sono fatte apposta: se non li metti in ordine non prendi posizione, non scateni le proteste, non smuovi i lettori. Per esempio, ora sto ragionando col Civ (il mitico Civolani, ndr) per i 100 del Bologna, Baggio ha fatto soltanto una stagione, ok, ma non puoi non metterlo nei primi cinque, conta il valore nel singolo e in quello che rappresenta in chi legge oggi: Puricelli magari merita una posizione più alta, per quello che ha vinto, ma ha giocato negli anni ‘30…». Il silenzio della redazione vuota è riempito dalle idee di un alchimista del racconto del calcio, che miscela sacro e profano, nuovo e antico, in una pozione che profuma di carta ruvida, appena stampata, venerata ma incalzata dai lettori, «molto fedeli, se sbagli una minima cosa ti massacrano, senza sapere che son qua da solo». Lettori che cerca di smuovere, senza indottrinarli o senza lisciarli il pelo: come da tradizione, il Guerino prova a spiegare, raccontare, mostrare un’altra faccia, non necessariamente la più scontata o la più arguta. Cuce le distanze tra pianeti diversi: «Se guardi il titolo dell’ultima copertina, ‘Triplete’, ovviamente l’ho scelto apposta provocatorio, ma al terzo scudetto di fila della Juve o fai una roba veramente forte per far incavolare un po’ gli interisti e accontentare gli juventini, oppure rischi di essere assorbito dall’ovvio, il 99% dei lettori sul forum mi ha detto che sono una merda, ma va benissimo, è chiaro che non è un Triplete vero, ma è fatto per smuovere l’attenzione». Lontani dal benaltrismo, al Guerino provano ad evitare «l’autocelebrazione», seguendo la lezione dei Grandi Giornalisti. Secondo Matteo non basta «affidarsi al talento, ma bisogna sempre relazionarsi con il proprio pubblico, e nello sport c’è il rischio di specchiarsi nei propri miti e fissazioni: puoi anche sapere tutto dell’Ascoli 78-79, ma se non la offri al lettore in una chiave intelligente e pop, alla gente poi non interessa». Cucire le distanze, mescolare. Portare avanti una narrazione, da soli, per non far sentire soli i lettori: «La storia di un Bidone solo è fine a se stessa, se invece ne metti in fila 100, di grandi bidoni, diventa un servizio valido, una cosa forte». «Oppure Hubner - continua - raccontato oggi non ha senso, ha senso se ‘parla’, oggi, tirando fuori cose che possa dire liberamente. Durante la direzione Zazzaroni feci una serie di interviste ai vecchi Presidenti, Campana, Ciarrapico, e intuii come si sentissero finalmente sciolti, liberi dai vincoli del presente, e parlavano a ruota libera: Farina per dire disse che mi aveva comprato un arbitro! I protagonisti del passato se li ascolti oggi li fai sentire coinvolti, si aprono, come se fosse una chiacchierata al bar, e in questo il nostro Nicola Calzaretta è insuperabile, ‘vivendo’ lui stesso ancora in quegli anni lì, ha ancora la spuma bionda sul tavolo mentre parla». Cucire le distanze del passato, cucire anche con il presente, ancora più difficile da raccontare e intervistare. «Col tempo ho capito come sia più interessante un’intervista a un giocatore trentenne, rispetto a un giovane che non ha ancora una carriera alle spalle. Ma anche con calciatori affermati, bisogna saper fare le domande appropriate per farli dischiudere. Non posso per esempio andare da Gilardino e chiedergli ‘Allora, com’è il tuo rapporto con Gasperini’, voglio invece fargli ricordare del suo primo stipendio, senza farlo sentire pressato sullo stretto. Meglio prenderne uno in meno ma che abbia qualcosa da dire». Il Direttore continua a parlare e nemmeno me ne ricordo più, dei Mondiali. Eppure ci provo, gli chiedo di pensare ai ‘suoi’ mondiali, di scegliere le immagini più vive. Com’era raccontare il calcio? «Una volta nelle redazioni si viveva tutti assieme, eravamo in tanti, ci sposavamo tra di noi, come una Comune. Eravamo una tribù, oggi le redazioni sono vuote, ci guarderemo le partite dei Mondiali a casa, da soli». Ma non è sempre stato così, però. E soprattutto, Matteo prima di essere giornalista è stato (lo è ancora, negli occhi) bambino: «Il Mondiale dell’82 è il ricordo più vivo, avevo 12 anni, non c’è gara con la vittoria del 2006, il paese impazzì letteralmente, e l’effetto durò fino al ‘90, una roba incredibile, fu l’apertura, l’arrivo delle donne nel calcio che non c’era, mia sorella più grande a cui non gliene fregava niente, impazzì, ci ritrovammo tutti in piazza, fu una vera festa popolare. Nel 2006 invece ci fu Calciopoli, subito dopo la vittoria piombarono le condanne dei processi, la Juve in b, e non vincemmo neanche con partite epiche, non battemmo in fila Argentina-Brasile-Polonia-Germania, fu tutto più spontaneo e travolgente, nel 1982». E oggi, invece, nel 2014 chi vincerà, Matteo? «Il Brasile, non può non vincere. Ma attenti alla seconda fascia delle sudamericane, Cile, Colombia, la stessa Uruguay, più forte dell’Italia, che se sbaglia la prima con l’Inghilterra diventa un problema serio. Le sudamericane hanno quella ‘garra’ che aiuta in un mondiale giocato nel loro continente». Un rimpianto tra i non convocati? «Toni, il secondo marcatore del campionato, perché sa stare al suo posto, nel gruppo. Non avrei portato Cassano, Insigne, se porto Cerci devi sperare che lo faccia lui il cambio di marcia, Cassano se lo tieni in panchina poi hai la stampa contro, Rossi lo porterei tutta la vita, anche zoppo. Toni, sì, l’avrei visto bene come capocomitiva, sa anche fare da chioccia ai giovani. Mi ricorderò sempre la battuta che fece a Ljajic, nel suo ultimo anno alla Fiorentina: ‘Adem, ma tu quanti gol hai fatto a Firenze finora?’, e Ljajic rispose ‘7’, e Toni lo freddò così: ‘Anch’io ho fatto 7 gol, in una settimana però’». Che cosa ci sorprenderà di Brasile 2014? «Noto una sottovalutazione fortissima della questione sociale, non vorrei scoppiassero focolai di proteste: hanno fatto il sorteggio nascosti in un resort, Recife, Salvador do baia sono pentole a pressione, eppure non se ne parla, e il precedente della Confederations Cup non ispira tranquillità». Questo tuffo finale nell’attualità, corroborato da due chiacchiere con l’esperto dei giovani Gianluca Grassi che attende trepidante l’Europeo Under 17, pronto a guardarsi «tutte le partite in tv, son sincero», e a cui riesco a strappare un nome di una vera promessa del futuro, tale Alex Meret, classe 1997, «è più forte anche di Scuffet, dicono», schiaffeggia tutta la malinconica retorica di una categoria che sembra in via d’estinzione eppure rimane imprenscindibile. Sono giornalisti ma prima di tutto uomini, con le loro manie, il loro disordine, le loro perplessità e le loro intuizioni carpite un secondo prima di noi comuni mortali. Sono ancora vivi, insomma. Nonostante la dimensione da irriducibili al fronte, la solitudine di una redazione ridotta all’osso dalla crisi del giornalismo e di un mondo che delle parole scritte non sa più che farsene, il Guerino mi sembra pulsare ancora, e ogni mio pavido tentativo di buttare il discorso sul filosofico o sul sentimentale è stato rintuzzato da Matteo a colpi di attualità, rivelazioni, puntualizzazioni. E mi lascio sedurre dal lavoro quotidiano, dai loro «vieni che ti faccio vedere la scheda della Germania in anteprima», dai Mondiali che devono ancora iniziare eppure sono già lì, dispiegati in layout che racchiudono tutto quello che ci serve per elaborarli e sognarli. Un album delle figurine dove al posto dei volti dei giocatori ci sono da incollare lunghe giornate da 10 ore al desk, notti davanti alla tv, pareti silenti ricolme di carta, e il cuore, che ogni tanto tracima dalla penna e macchia i tabellini. Sembra preistoria, una dimensione del racconto sportivo rupestre, eppure, tra la Seredova e gli algoritmi, loro ci sono ancora. Poi Marani ci congeda, non sono riuscito a rubare nessun disegno di Finizio, un De Sisti a mano in felpa viola sorridente che sbuca dalla pila di disegni di giocatori di vent’anni fa. E mentre chiudo la porta dello studio del Direttore, mi immagino che al fischio di inizio dei prossimi mondiali, i disegni di Finizio si animeranno e svolazzeranno nel silenzio di via del Lavoro. C’è un calcio colorato a mano, dentro la redazione del Guerin Sportivo, dalle tonalità ancora vive, un calcio colorato con i gessi e disegnato sull’asfalto, e noi saltiamo le caselle per atterrare sul marciapiede, rapiti dalle tv hd dentro le case, ma senza capire dove siamo effettivamente finiti. «Era un dovere mandare avanti il giornale», dice Matteo. Il Guerino è il gesso colorato che cerca di ricordarci a che punto siamo arrivati della Storia.[gallery link="file" columns="2" orderby="title"] Tratto dal blog Someone still loves you, Bruno Pizzul

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