La fortuna dell’amico Ancelotti

Pubblicato il 26 maggio 2014, 10:20

Il modo in cui il Real Madrid ha vinto la Decima, la seconda Champions League-Coppa Campioni più attesa della sua storia (dopo la Settima, quella del 1998), ha fatto ribaltare più articoli di quanti non ne abbia fatti ribaltare Italia-Nigeria del Mondiale '94. Per un gol subito al 93' Simeone si è trasformato da allenatore del decennio a provinciale che non ha saputo leggere la partita, Ancelotti da perdente di successo a genio che nel finale ha saputo cambiare la partita azzeccandole tutte. Addirittura, posto che nessuno dei due è medico e che ci si deve fidare delle sensazioni dei giocatori (a maggior ragione quando si è stati ottimi giocatori), le scommesse su Diego Costa e Cristiano Ronaldo, perché di scommessa si è trattato in entrambi i casi (Diego Costa infortunato dopo 9', CR7 peggior partita dell'anno), sono state con il senno di poi e del risultato lette in maniera opposta. Ancelotti è stato quindi fortunato? Se il gol del pareggio segnato al 93', dopo avere comunque dominato l'ultima mezzora con un Atletico in ginocchio fisicamente e attaccato solo alla forza dei suoi difensori centrali e alla partita eroica di Villa, è fortuna allora Ancelotti è stato fortunato (al 71' il colpo di testa di Sergio Ramos sarebbe invece stato 'giusto', secondo questa impostazione mentale). Questo non toglie che per vincere, vale per gli uomini e per le squadre, bisogna essere ad alto livello con costanza e poi ogni tanto l'anno fortunato capita, a bilanciare i dimenticati anni di sfortune. Il Manchester United di Ferguson ha vinto due sole Champions League, in modi che definire fortunosi è riduttivo (2 gol dopo il 90' nel 1999, scivolata di Terry sul rigore decisivo nel 2008). L'organizzatissimo Bayern dopo l'era di Beckenbauer giocatore ha vinto una volta ai rigori e un'altra con un gol nel finale (85' è classe e 93' fortuna?). Lo stesso Real Madrid nell'ultimo decennio è stato quasi abbonato alle semifinali. A volte va bene, a volte male. Lo sa bene Ancelotti, non esattamente fortunato a Istanbul 2005. Che ha la qualità principale degli allenatori da grande squadra: allena per far vincere i giocatori, non per diffondere la propria visione del calcio. È l'unico modo per sopravvivere in mezzo a fuoriclasse presuntuosi e presidenti invadenti, senza perdere la faccia. Solo così, ognuno con il suo stile, si rimane credibili al di là di annate no e situazioni contingenti: perché senza Sergio Ramos adesso Ancelotti sarebbe sulla via del ritorno al Milan, con il terzo posto (su due partecipanti) nella Liga ad essergli ricordato in ogni intervista… E lo stile di Ancelotti è diverso, a parità di rango, da quello di altri grandi: non è il guru alla Guardiola o il capopopolo alla Mourinho, ma, come ha ben scritto un suo non estimatore come Luciano Moggi nel suo ultimo libro, l'amico dei giocatori. Strategia che paga, quando i giocatori sono abbastanza forti e intelligenti da non approfittarsene… Alla fine la regola è che se sei sempre lì, per decenni, qualcosa raccogli. E non è che chi perde sia per forza un cretino, soprattutto se ha un budget di un quarto rispetto agli avversari.

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