A Helena Costa è bastato il passaporto portoghese e la partecipazione a un convegno in cui parlavano alcuni grandi allenatori, fra i quali il più grande di tutti, per essere definita 'la Mourinho donna' o 'l'allieva di Mourinho'. Ed è lei la prima ad essere consapevole del fatto che quella del Clermont, Ligue 2 francese, sia stata prima di tutto una straordinaria mossa pubblicitaria dal momento che non è che i giornalisti si picchino per intervistare Salibur e Moulin, per citare 2 giocatori nel mirino di club italiani di fascia bassa. Non che lei, a 36 anni, non sia preparata culturalmente per allenarlo: è laureata in scienza dello sport, ha il patentino di allenatore UEFA di tipo A (lo stesso di Clarence Seedorf, per fare un esempio, inferiore di grado solo al livello 'Pro'), ha allenato già diverse squadre maschili (le giovanili del Benfica e una squadra regionale portoghese, la Cheleirense) e due nazionali femminili (Qatar e Iran), ha lavorato nello staff del Celtic come osservatrice. Il vero punto di contatto con Mourinho e Villas-Boas è quello di essere arrivata in alto senza avere un passato da giocatore/giocatrice. E con Carolina Morace, colpo di Luciano Gaucci che nel 1999 la mise sulla panchina della Viterbese per 2 partite, il punto di contatto è giusto quello di essere donna: la più grande giocatrice italiana di sempre, anche lei fra l'altro molto preparata dal punto di vista teorico, mai aveva allenato squadre maschili e mai più ne ha allenate. Uscendo dalla correttezza politica, basta la minima conoscenza di uno spogliatoio calcistico per intuire che nemmeno i calciatori più illuminati accetterebbero di prendere ordini da una donna, per quanto preparata. Non siamo nella Silicon Valley e nemmeno in una banca, dove il comando femminile è di natura così cerebrale da essere equiparabile a quello maschile. E nemmeno nell'esercito, dove si è protette dallo stato e delle garanzie degli impieghi pubblici. L'allenatore di una squadra maschile vive quasi ogni partita sul filo dell'esonero e deve avere una fisicità, che non significa prendere a pugni i giocatori svogliati ma urlare loro in faccia sì, che una donna per evidenti motivi non ha. L'allenatrice potrà saperne come Ancelotti o Guardiola, ma se non la ascoltano la sua scienza vale poco. Da cultori del marketing applausi comunque a Claude Michy, organizzatore di eventi sportivi (soprattutto motoristici, a partire da tante edizioni della Parigi-Dakar) e conoscitore quindi dei riflessi condizionati dei media, ma non scommetteremmo sui successi sportivi della Costa. E auguri al Clermont, anche di evitarsi le gaucciate successive: come l'ipotesi di inserimento di una giocatrice (all'epoca la grande Birgit Prinz) in una squadra maschile e l'ingaggio del figlio di un dittatore pagato dal dittatore stesso. E pazienza se la ministra francese per i diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem, ha esultato: la correttezza politica impone di prendere tutto sul serio.