Ups and downs, alti e bassi. In altre parole Leeds United, club talmente abituato ai saliscendi da arrivare a citarli anche nel proprio inno Marching On Together: “We’ve been through it all together/and we’ve had our ups and downs”. Un autentico marchio di fabbrica nei dintorni di Elland Road. Brillanti ascese e rovinose cadute. L’ultima, durante la stagione 2003-2004, ha visto i Whites sull’orlo del collasso. Oggi si è aperta l’era Cellino. Auguri di cuore.
La prima epoca d’oro del Leeds inizia da una retrocessione, con tutte le conseguenti difficoltà economiche che questa comporta. E’ una squadra vicina al baratro della Third Division quella raccolta da Don Revie, ex nazionale inglese arrivato a Elland Road un paio di anni prima per chiudere la carriera, nel marzo del 1961 in sostituzione del licenziato Jack Taylor. Sono tempi duri, nel 61/62 la salvezza arriva solamente all’ultima giornata. Poi il progetto Revie comincia a prendere forma. Perno del nuovo corso è Jack Charlton, al quale vengono affiancati Bobby Collins Norman Hunter, Gary Sprake e Paul Reaney. Dal Manchester United arriva Johnny Giles, ma l’autentico simbolo del Leeds targato Revie è il tignosissimo scozzese Billy Bremner, che opera nel cuore della mediana ed è un’autentica furia, tanto da meritarsi il soprannome di Ten Stone of Barbed Wire. Un guerriero che vestirà la maglia dei Whites 771 volte, una sola in meno di Charlton, vivendo da protagonista tutta la parabola ascendente del club inglese, che nel giro di sei anni incamera due titoli nazionali (’69, ’73), una FA Cup (‘72), una Coppa di Lega (’68), un Charity Shield (’69) e due Coppe delle Fiere (’68, ’71).
Una squadra non spettacolare ma solida il Leeds dell’era Revie, fisicamente potente, ottimamente organizzata ma, a dispetto dei successi, parecchio sfortunata. Nella stagione 64-65, quella del ritorno in First Division, il campionato finisce al Manchester United solo per differenza reti. Nel 1970 invece, dopo aver incamerato l’anno precedente il primo titolo nazionale concludendo la stagione imbattuti in casa, i Whites crollano di fronte ad un calendario troppo fitto (alcuni giocatori arriveranno a disputare 62 partite, di cui 9 in 22 giorni) e alle rigide regole della Federazione, che impone ai club una rosa non superiore ai 20 elementi. La congestione di partite, unita alla squalifica per cinque turni del campo causa invasione dei tifosi in un match contro il WBA, costano al Leeds il titolo (che finisce al Derby County per un solo punto) anche nel ’72, quando risulta fatale una sconfitta all’ultima giornata contro il Wolverhampton. Il connubio tra dolce e amaro si ripete in Europa; nel 1968 Mick Jones regola il Ferencvaros regalando a una squadra inglese il primo trofeo internazionale, la Coppa delle Fiere; tre anni dopo ecco il bis contro la Juventus, abbattuta dalle reti di Mick Bates, Paul Madeley e Allan Clarke. Nel ‘73 però la finale di Coppa delle Coppe viene persa contro il Milan a causa di un arbitraggio scandaloso. Il greco Michas verrà in seguito squalificato a vita dall’Uefa per corruzione, ma i rossoneri la passeranno liscia. Nel ’75 (senza Revie) arriva anche la finale di Coppa dei Campioni. Vince il Bayern Monaco, senza sospetti.
I glory days tornano nei primi anni Novanta grazie ad Howard Wilkinson, la cui gestione inizia nell’ottobre dell’88 in sostituzione di Billy Bremner, cacciato con la squadra al 21esimo posto in Seconda Divisione. Arrivano Gordon Strachan, Vinnie Jones, Chris Fairclough e Merl Sterland, più David Batty e Lee Sharpe dalle giovanili. Nel 1990 il Leeds torna in First Division dopo otto anni di assenza. La ricostruzione continua con John Lukic (il primo acquisto nella storia del club pagato 1 milione di sterline), Gary McAllister, Chris Whyte e Tony Dorigo. Il colpo gobbo però arriva dalla Francia, da dove viene prelevato uno scavezzacollo di 25 anni finito nella bufera per aver definito “idioti” i vertici della Federcalcio transalpina e “stronzo” l’allora ct della nazionale Henri Michel. Si chiama Eric Cantona e aveva appesa incassato un secco no dal Liverppol, il cui manager Souness non voleva una mina vagante nello spogliatoio. Dopo un periodo di prova con lo Sheffield Wednesday, Cantona sbarca a Leeds. “Non mi interessa se nel tempo libero non legge poesie o libri di filosofia”, commenta Wilkinson, “io guardo solo ciò che fa in campo”. Inizia in panchina, ma a detta dell’ex compagno McAllister “Eric fu fondamentale per il suo carisma, perché ci insegnò a vincere”. Nel ’92 arrivano campionato e Charity Shield (4-3 al Liverpool con tripletta di Cantona), la stagione successiva il francese passa al Manchester United per 1.2 milioni di sterline. In quella stagione in Leeds non vincerà nemmeno una partita in trasferta.
Dopo Revie e Wilkinson tocca a David O’Leary completare il podio dei magic moments in maglia bianca. Nel 2000 la squadra raggiunge la semifinale di Coppa Uefa (persa contro il Galatasaray), l’anno successivo quella di Champions League (fatale il Valencia). La rosa è piena di giovani promesse: Jonathan Woodgate, Harry Kewell, Ian Harte, Rio Ferdinand, Alan Smith, Mark Viduka, Lee Bowyer. Una volta lasciato Elland Road, solo Ferdinand rimarrà al top. Peggioreranno invece sempre più i libri contabili a causa dei sogni di gloria del presidente Peter Ridsdale, che punta forte sulla presenza costante della squadra in Champions League, esponendo notevolmente le casse del club. Ma già nella stagione 2001-2002 arriva un deludente quinto posto, e comincia il disastro. Ridsdale diventa uno dei simboli dello spreco di denaro in Premier League, tanto che oggi in Inghilterra si dice “doing a Leeds” per indicare una disastrosa gestione finanziaria di una società caclistica.