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Spunti di Sport: Andrea Fortunato

Un ragazzo il cui ricordo ha un posto speciale nel cuore di tutti gli appassionati di calcio, indipendentemente dal credo calcistico. Questo è Andrea Fortunato, il giovane difensore della Juventus, che il 25 aprile 1995 perse la via a soli 23 anni in seguito a una grave forma di leucemia.

Redazione

25 aprile 2014

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Un ragazzo il cui ricordo ha un posto speciale nel cuore di tutti gli appassionati di calcio, indipendentemente dal credo calcistico. Questo è Andrea Fortunato, il giovane difensore della Juventus, che il 25 aprile 1995 perse la via a soli 23 anni in seguito a una grave forma di leucemia. Andrea, nato a Salerno il 26 luglio 1971,a 13 anni, dopo le prime esperienze calcistiche nei dilettanti della Giovane Salerno dove era stato portato dal tecnico Alberto Massa (suo scopritore) lascia la famiglia per tentare di conseguire il sogno di diventare un calciatore in ambito più professionistico trasferendosi a Como (fortemente voluto dall’allora ds Sandro Vitali), dove farà il suo esordio nel mondo del calcio prima nella squadra Allievi, dove il tecnico Rustignoli lo sposterà dal centrocampo sulla fascia mancina alla difesa sempre nella medesima fascia, e poi nella squadra Primavera, guidata da Angelo Massola, altro tecnico che comprese subito le grandissime potenzialità di Andrea. La famiglia (costituita dal padre Giuseppe, cardiologo, dalla madre Lucia, bibliotecaria, dal fratello avvocato, e dalla sorella laureata in lingue) accetta la richiesta di Andrea, ma a patto che egli, oltre al calcio, riesca a proseguire gli studi, in modo tale da potersi comunque assicurare un futuro qualora con il mondo del pallone non dovesse andare bene. Andrea riuscirà sia a sostenere regolarmente gli allenamenti, sia a diplomarsi in ragioneria.

Tornando all’ambito più strettamente calcistico, nella prima stagione comasca (1989-90) in Serie B collezionò 16 presenze, nella stagione successiva (1990-91) in Serie C1, giocò 27 partite come titolare con Andrea fortemente stimato e considerato dal neotecnico della formazione comasca, Eugenio Bersellini. Le prestazioni di Andrea vengono seguite con molto interesse da parte del Genoa, che lo ingaggia. Giunto a Genova, Andrea viene mandato un anno a Pisa (stagione 1991-92), per punizione a causa di un forte litigio con il vice allenatore Maddè che spinse il tecnico del Grifone, Bagnoli, a chiedere il prestito per il giovane difensore campano, per poi fare il suo esordio in rossoblù la stagione successiva. Una stagione, quella 1992-93, che vedrà Andrea giocare 33 partite e segnare  addirittura 3 gol. In particolare l’ultimo gol, segnato contro il Milan nell’ultima giornata di campionato, fu decisivo per le sorti della sua squadra, in quanto fu proprio il gol di Andrea a salvare il Genoa, allenato in quell’anno prima da Bruno Giorgi, che stimerà sempre molto Andrea, e poi da Luigi Maifredi e da Claudio Maselli. Andiamo, quindi, a vedere il goal di Andrea Fortunato,nella sintesi di Genoa-Milan, tratta da 90°minuto dell’epoca.

IL PASSAGGIO ALLA JUVENTUS

Nel giugno 1993, Andrea passa alla Juventus per 12 miliardi di Lire. Per i media Andrea è destinato nel giro di poco tempo a diventare un grandissimo difensore in ambito nazionale, qualcuno lo definisce il nuovo Cabrini, cosa che farà sempre arrabbiare Andrea. «Mi fa arrabbiare questo paragone con Cabrini, lui è stato il più forte terzino del mondo, vi sembra una cosa logica? A me no; prima di raggiungere i suoi livelli, se mai ci riuscirò, ci vorrà tanto tempo».  Pochi giorni dopo questo nuovo trasferimento, Fortunato torna nella sua Salerno, e in quell’occasione rilasciò a Roberto Guerriero, giornalista di Telecolore, emittente televisiva della sua città, un’intervista in cui commentava, tra le altre cose, anche il suo passaggio in bianconero. Nella stagione 1993/94, con la maglia della Juventus, Andrea ottiene 27 presenze, segnando addiritura un goal,all’Olimpico contro la Lazio. Nel frattempo, però, Andrea aveva fatto anche il suo esordio in Nazionale. L’allora ct azzurro, Arrigo Sacchi, lo stava seguendo con profondo interesse, e così il 22 settembre fece il suo esordio con la maglia azzurra.  Tutto sembra proprendere per una convocazione in azzurro del giovane difensore campano anche in vista dei prossimi mondiali in America. Cosa che però non avviene.  Da qualche tempo, e più precisamente dalla primavera del 1994 Andrea accusa un vero e proprio calo, con i tifosi che cominciano a fischiarlo, addirittura lo accusano di scarso impegno, e di essere un malato immaginario. Cosa sta succedendo a questo ragazzo? Come racconta Piero Bianco in un articolo, pubblicato all’epoca dal quotidiano La Stampa, venerdì 20 maggio 1994 «Andrea è stanco, irriconoscibile in campo, lui che è sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, è tormentato da una febbriciattola allarmante. Il dott. Riccardo Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi. La diagnosi mette subito paura: leucemia acuta linfoide, fattore Filadelfia positivo. Quanto di peggio ci si poteva immaginare. Fortunato viene ricoverato nella Divisione Universitaria di ematologia dell’ospedale Molinette». Tre giorni dopo la diagnosi, il 23 maggio 1994, il giorno successivo alla seconda seduta di chemioterapia, Andrea riceve la visita di un gruppo di ultras bianconeri, della curva Scirea, quelli che qualche mese prima lo presero a uova in faccia e lo accusarono di essere un lavativo. Soprattutto, di essere un malato immaginario. Il terzino della Juve non aveva reagito, aveva incassato senza fiatare. Gli ultras in quell’occasione non poterono parlare direttamente con Andrea, ricoverato in isolamento in una camera asettica e in terapia intensiva per circa tre settimane, ma poterono fargli avere un mazzo di fiori e un biglietto di auguri. Sempre secondo quanto ricostruì l’articolo di Piero Bianco, pubblicato sul quotidiano La Stampa nel 1995, poche ore dopo la scomparsa di Andrea, e in cui venivano ricostruiti gli ultimi mesi di vita del giovane difensore bianconero, secondo i medici, può farcela.  «Andrea è giovane, la sua tempra robusta lo aiuterà. Ma l’ottimismo di facciata è una pietosa bugia. Gli specialisti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potrà restituire la vita a quel ragazzo coraggioso, assistito dalla fidanzata, Lara, e dai genitori, mamma Lucia e papà Giuseppe, che è cardiologo all’ospedale di Salerno e che ha l’immediata percezione del dramma. Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalità. L’organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia. Un passo importante. “Voglio farcela, voglio vincere questa guerra terribile”, dichiara il giocatore. Ma la battaglia è ancora lunga. I medici non riescono a reperire, in tutto il mondo, un donatore compatibile per il trapianto. Sono solo tre i potenziali donatori, ma tutti troppo lontani. Così il 9 luglio si tenta un’altra strada. Fortunato viene trasferito a Perugia, al Centro Trapianti diretto dal dott. Andrea Aversa e dal prof. Massimo Martelli. Sono passate sette settimane. Nel giorno del suo 23° compleanno, il 26 luglio, gli vengono infuse le cellule sane della sorella Paola, opportunamente “lavorate”. Poi seguono altri due innesti. Ci vorranno un paio di settimane per avere certezza che il midollo si sia spontaneamente rigenerato. L’11 agosto si annuncia come un’altra data importante: Fortunato viene trasferito in un reparto pre-sterile. Combatte, fino a quando le forze lo sorreggono. Parla al telefono con i compagni, può leggere qualche giornale “sterilizzato”, segue la sua Juve in tv. Andrea si è ormai reso conto che la battaglia è più dura del previsto, però scova insospettabili forze. Poi, dopo Ferragosto, il primo crollo. Il suo organismo non ha assorbito le cellule della sorella Paola. Il rigetto fa ripiombare Andrea nella disperazione. Si tenta ancora, si spera in un altro miracolo. Papà Giuseppe prova a donargli le cellule del suo midollo. Ad Andrea inizialmente non lo dicono, si parla di normali terapie. Eppure la seconda infusione sembra miracolosamente attecchire, anche se allarma una febbre persistente. Il fisico reagisce bene, Fortunato torna in un reparto “normale”, può perfino iniziare una riabilitazione in palestra. Il 14 ottobre lascia la camera d’ospedale. I compagni (Ravanelli, Vialli e Baggio, su tutti) lo incoraggiano, lo tempestano di telefonate: “Ti aspettiamo”. L’ottimismo si fa nuovamente strada. C’è grande ottimismo intorno ad Andrea: le cure, come detto, sembrano funzionare, a tal punto Marcello Lippi, arrivato nell’estate 1994 a Torino ad allenare la Juventus, in occasione di Sampdoria-Juventus, in programma domenica 26 febbraio 1995 alle ore 20.30, convoca Andrea, il quale però non ce la fa ancora, e così assiste in tribuna a Marassi alla partita tifando i suoi compagni di squadra. Quando sembra  che finalmente tutto stia procedendo per il verso giusto, purtroppo, in seguito a un’influenza, trasformatasi poi in polmonite, dovuta a un improvviso abbassamento delle sue difese immunitarie, il 25 aprile 1995 alle 8 di sera, Andrea purtroppo muore. I compagni di squadra di Andrea, impegnati con la nazionale a Vilnius, apprendono questa triste notizia alla vigilia della partita contro la Lituania. In onore e ricordo di Andrea Fortunato viene osservato un minuto di silenzio. Gli azzurri giocano con il lutto al braccio e vincono la partita grazie a un gol di Gianfranco Zola, che dedicherà la rete al compagno scomparso. L'ULTIMA INTERVISTA Un mese prima della sua scomparsa, Andrea aveva concesso quella che poi sarebbe diventata la sua ultima intervista, ripresa da tantissimi siti Internet. Invito davvero tutti a leggerla con la massima attenzione. Dalle righe si capisce benissimo la voglia di vita giorno per giorno, ma ancor più la passione per lo sport e in particolare per il calcio che Andrea ha avuto fino all’ultimo. Purtroppo, al momento in cui scrivo, non sono riuscito a trovare info in merito al media e all’autore che ha effettuato questa intervista. «Undici mesi di malattia è una cosa lunga, infinita. Ma di tremendo, a parte i periodi di grande crisi fisica, ci sono stati solamente i primissimi momenti; dopo ho combattuto. Invece, all’inizio è stato diverso; il giorno prima stavi fra i sani, il giorno dopo passi fra i quasi incurabili. Non si può descrivere che cosa si prova». Come si reagisce? «Ti senti perduto e, nello stesso tempo, diventi curioso; è una sensazione strana. Vuoi sapere ogni cosa della tua malattia, ti interroghi sui sintomi, sulle cause, sulle possibili conseguenze. Sai che non ti diranno tutto, provi ad indovinare le bugie, ma poi fingi di crederci, ti convinci che è meglio, altrimenti impazzisci. Quando un medico ti spiega quali sono i sintomi della leucemia ti senti sprofondare; e più parla, più tu capisci che tutto corrisponde, che è davvero il tuo caso. In quel momento il male ti prende in ostaggio; ma tu devi impedirgli di ammazzarti». Come ci si può riuscire? «Con l’aiuto di Dio e dei medici, ma anche con un pensiero fisso: ce la devo fare. Me lo ripetevo ogni giorno e me lo ripeto ancora; neppure per un istante ho pensato che avrei perso la partita. Lo chiamano atteggiamento positivo, pare sia una mezza medicina». Vuoi fare ancora il calciatore? «Questo è un pensiero che non mi ha mai abbandonato. Mi sono sentito un atleta anche nei giorni più difficili, quando ero più di là che di qua. Ho lottato con spirito sportivo, si può dire che non mi sono mai tolto la maglia di dosso. Rimetterla davvero, ma non solo; ho chiesto, mi sono informato, mi hanno spiegato che tanti atleti sono tornati all’attività dopo la leucemia. Credo, spero di riuscirci». Come cambia la vita, dopo un’avventura del genere? «Cambia tutto, ti costruisci una scala di valori nuova; dai importanza alle cose che valgono davvero e non te la prendi più per le sciocchezze. E capisci che l’amicizia è la prima cosa; io, per esempio, ho un fratello in più, Fabrizio Ravanelli. È stato incredibile, mi ha messo a disposizione una parte della sua vita, non solo la sua famiglia e la sua casa di Perugia; non si può descrivere con le parole. Il giorno più bello, in questi mesi di malattia, l’ho vissuto quando lui ha segnato 5 goal al Cska, in Coppa; quella sera ho capito davvero che cosa è la felicità; ed è stato altrettanto bello, vedere Fabrizio esordire in Nazionale, proprio a Salerno, la mia città». Ti sono servite le vittorie bianconere? «Non solo quelle, ma la costante presenza dei compagni e della società; un’altra famiglia, davvero. Se sono vivo lo devo anche a loro, al loro affetto». C’è un momento, di questi mesi, che ricordi con particolare intensità? «L’uscita dall’ospedale a Perugia, dopo il secondo trapianto; non mi sembrava vero, vedevo diverse tutte le cose, mi parevano straordinarie anche le più insignificanti. Non immaginavo quanto potesse essere meravigliosa anche una semplice passeggiata». Cosa insegna la malattia? «Che nella vita c’è di peggio di uno stiramento che ti tiene fuori dal campo per due settimane. Che ogni giorno muoiono bambini leucemici senza che nessuno lo sappia e senza che si possa fare nulla. Che in Italia abbiamo i migliori medici del mondo; a Perugia vengono ad imparare le nostre tecniche dall’America, da Israele, dalla Francia. Però, le strutture sono quelle che sono, mancano gli spazi, c’è gente in coda da mesi per un trapianto. Bisogna donare il midollo, senza paura, perché questo salva la vita agli altri e da senso alla tua». Il tuo sogno? «La leucemia mi ha insegnato a non fare progetti a lunga scadenza e neppure a media; non per paura, ma per realismo. La prima volta che programmai il ritorno a Torino, mi alzai la mattina con la febbre; nulla di grave, per fortuna, ma ci rimasi male. Vivere alla giornata non è una sconfitta, semmai un modo per apprezzare davvero la vita in ogni attimo, in ogni sfumatura. È quello che farò». Due giorni dopo la scomparsa di Andrea, il 27 Aprile 1995, si svolsero a Salerno, i funerali di Andrea, a cui parteciparono oltre 5.000 persone, compreso lo staff tecnico della Juventus. Particolarmente toccante fu l’orazione funebre di Gianluca Vialli, che scoppiò letteralmente a piangere ricordando il suo compagno di squadra. Nella stagione 1994-95 la Juventus guidata da Marcello Lippi si aggiudicò lo scudetto, che venne a lui dedicato. Nel corso degli anni la società bianconera non ha mai dimenticato questo giovane campione, strappato troppo presto allo sport, ma sopratutto alla vita, ricordandolo ogni anno sul proprio sito Internet. Anche lo scorso anno la Juve tramite comunicato ufficiale ricordò Andrea Fortunato. Un comunicato che colpì davvero molto e che invito tutti a leggere veramente con la massima attenzione. «Un ragazzo gentile ed educato, un giocatore di sicuro talento e di limpida correttezza. Un sorriso dolce, spento 18 anni fa da un destino vigliacco. Il 25 aprile 1995 Andrea Fortunato, a neanche 24 anni, ci lasciava, sconfitto dalla leucemia. Quel suo sorriso però è rimasto scolpito nella nostra memoria, perché non lo ha mai abbandonato, fino all’ultimo giorno, ed è un insegnamento per tutti. È come se, con quel sorriso, Andrea avesse voluto insegnarci ad affrontare la vita, anche le sue battaglie più dure, con la sua serenità. È come se avesse voluto ricordarci che le sfide si possono anche perdere, ma che mai, neanche per un attimo, ci si deve sentire sconfitti. Grazie Andrea. Il tuo esempio sarà sempre con noi». Una cosa è comunque certa: Andrea Fortunato avrà sempre un posto speciale non solo nel cuore dei tifosi bianconeri ma anche nel cuore di tutti noi appassionati di calcio. Rüdiger Franz Gaetano Herberhold

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