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Anni 90: Stefan Effenberg

Redazione

18.04.2014 ( Aggiornata il 18.04.2014 10:19 )

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Dei tanti tedeschi giunti in Italia fra la fine degli anni Ottanta e dopo il Mondiale del 1990, ce ne sono due in particolare che non hanno avuto molta fortuna andando in controtendenza: Matthias Sammer e Stefan Effenberg. Entrambi non trovarono grandi soddisfazioni nel nostro campionato riuscendo però a prendersi le meritate rivincite in seguito, con il primo che vinse Europeo e Pallone d’oro nel ‘96, mentre il secondo divenne cardine del Bayern campione d’Europa nel 2001. Alcuni lo definirono il Gascoigne tedesco, altri lo ribattezzarono “Der Löwe” il leone, un soprannome appropriato ed in linea con il suo carattere: forte, aggressivo ma allo stesso tempo determinante nel guidare una squadra. Stefan Effenberg è stato uno dei migliori centrocampisti centrali degli anni 90, potenza e classe, un mix di geometria e leadership, con un carisma che spesso gli ha creato problemi per via di una lingua troppo tagliente. Milita nelle giovanili del Victoria Amburgo e passa al Borussia Mönchengladbach all’età di 19 anni, due stagioni e arriva al Bayern, sembra essere già il momento della totale consacrazione per colui che viene visto come l’erede del grande Lothar Matthaeus. Il trasferimento in Baviera crea malumore e rabbia nei tifosi del Borussia, Effenberg viene additato come traditore e l’esperienza a Monaco si caratterizza per un rendimento altalenante. L’Europeo del 1992 gli permette di mettersi in vetrina e la Fiorentina lo strappa alla concorrenza, i viola sono infatti protagonisti di un mercato dalle grandi manovre e con colpi importanti perché sbarcano in riva all’Arno anche Batistuta, Baiano e Laudrup. Gigi Radice, tecnico dei gigliati, ha il pesante compito di far coesistere i tanti giocatori di qualità della rosa ma soprattutto deve trovare l’equilibrio nello spogliatoio considerando la marcata personalità di alcuni elementi. Il popolo viola sogna, la Fiorentina è una delle accreditate per poter intralciare il cammino del Milan imbattibile di Capello e l’inizio è promettente. Effenberg è padrone della mediana, dirige il gioco e si cala subito nella parte, la squadra decolla e disputa un gran girone d’andata navigando nelle parti alte della classifica. La svolta della stagione arriva quando l’Atalanta espugna il Franchi il 3 gennaio, Radice viene licenziato per incomprensioni con la dirigenza e per la Fiorentina è l’inizio della fine. I viola vanno a picco, Agroppi perde il controllo della situazione e la squadra si sbriciola. L’epilogo è drammatico, difficile da pronosticare in avvio di stagione perché da antagonisti del Milan gli uomini del presidente Cecchi Gori scivolano in B. Effenberg finisce sul banco degli imputati, si dice sia stato lui a far fuori Agroppi, resta il fatto che il purgatorio della serie cadetta attende il tedesco e tutta la città di Firenze. Il centrocampista freme, vorrebbe scappar via ma i dirigenti viola lo trattengono obbligandolo a rispettare il contratto, per Effenberg l’obiettivo fisso è il Mondiale di USA ‘94 che teme di dover saltare vista la sua situazione. Resta in B e riporta comodamente la Fiorentina nella massima serie, vola alla coppa del mondo perché Berti Vogts lo considera comunque un giocatore prezioso per la selezione tedesca. Dura poco però l’esperienza statunitense per Effenberg: contro la Corea del Sud a Dallas si macchia di un brutto gesto prima di abbandonare il campo per una sostituzione. Il tedesco deraglia di nuovo e torna a casa, punito per uno dei suoi tanti eccessi. Lascia Firenze, sostituito da Rui Costa, e riabbraccia il Borussia Mönchengladbach prima di ripetere il salto fatto otto anni prima e indossare ancora la casacca del Bayern Monaco. Stavolta però il biondo centrocampista non fallisce più e trascina la sua squadra: vince tre campionati di fila, varie coppe nazionali ma soprattutto la Champions League a Milano nel 2001 contro il Valencia di Cuper. Segna anche un gol, alza la coppa e l’Uefa lo incorona come miglior giocatore della competizione. Risse al pub, tradimenti, uno anche con la moglie del compagno Strunz, bravate di gioventù come quando rubò la jeep del suo allenatore al Borussia e la distrusse schiantandosi contro un muro. “Ho fatto di tutto nella mia vita” ha sentenziato qualche tempo fa e non c’è da stupirsi se per anni abbia fatto parlare di sé, rivale di tutti e amico di nessuno, sincero e diretto, spesso volgare. In poche parole: Stefan Effenberg, il leone di Amburgo. di Matteo Ciofi

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