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Madiba e lo sport

«Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, di unire la gente. Può creare la speranza laddove prima c’era solo disperazione»

Redazione

6 dicembre 2013

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Due sono le immagini di Nelson Mandela legate allo sport: la prima è del 1995, quando a Johannesburg consegnò a François Pienaar la Web Ellis Cup, la Coppa del Mondo di rugby; l’altra è del 2010, quando presenziò alla cerimonia di chiusura del Mondiale di calcio (non partecipò a quella d’apertura per la morte della sua nipotina di tredici anni in un incidente automobilistico). «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, di unire la gente. Può creare la speranza laddove prima c’era solo disperazione» è una lezione lasciata in eredità da Madiba; una frase che accompagna meravigliosamente bene il momento della storica premiazione del 1995. Una fotografia che immortala il momento più toccante della Coppa del Mondo di rugby e presto entrata tra gli scatti più celebri del Novecento. L’apartheid - politica per cui i neri avevano meno diritti dei bianchi, non potendone abitare gli stessi quartieri, frequentare gli stessi luoghi, accedere alle stesse strutture pubbliche e non potendo nemmeno contrarre matrimoni misti  - è finito da cinque anni e il Sudafrica ospita il (e partecipa al) suo primo torneo internazionale dopo il boicottaggio. Negli anni del regime razzista infatti il Sudafrica era censurato dal mondo dello sport e non prese parte a nessuna competizione. Un episodio significativo è quello del ’76: alle Olimpiadi di Montréal, i Paesi africani (ad esclusione di Senegal e Costa d’Avorio) non parteciparono alla manifestazione per protesta contro la Nuova Zelanda, rea di essersi sottratta al boicottaggio e di aver disputato alcune gare rugbistiche contro gli Springboks. «O noi, o i neozelandesi» era il messaggio lanciato al C.I.O., che dal canto suo rifiutò di squalificare gli oceaniani, dal momento che il rugby non era materia di sua competenza, non essendo sport olimpico. Sotto l’ala di Mandela, padre della nazione e primo presidente di colore del Paese (eletto nel 1994), comincia una nuova era. Ma gli anni immediatamente successivi al 1990 si portano ancora dietro gli strascichi degli orrori dell’apartheid. Un clima di reciproca diffidenza tra i bianchi afrikaner e la comunità dei neri accompagna l’inizio di questa fase e la Coppa del Mondo di rugby funge da collante. La palla ovale, che durante il regime razzista era proibita ai neri, riavvicina le vite di chi prima non poteva nemmeno incrociarsi. In quello storico 24 giugno ’95 di Johannesburg, i padroni di casa battono la Nuova Zelanda 15-12, grazie a un fenomenale Joël Stransky, mediano d’apertura della squadra, che realizza tutti i punti (tre calci piazzati e due drop) dei suoi. Finalmente bianchi e neri si abbracciano: la coppa consegnata dal Nobel per la pace, è in qualche modo il simbolo della nuova politica d’integrazione. Il leader nero del movimento antisegregazionista consegna sorridente la Webb Ellis Cup al capitano degli Springboks, il bianco Pienaar. Solo cinque anni prima, una scena simile era inimmaginabile: Mandela si trovava ancora in carcere in quanto nemico politico. Le sue lotte per la libertà gli costarono ventisette anni di prigionia: rifiutò di essere liberato pur di non scendere a compromessi e per portare a termine la sua battaglia con l’A.N.C., quella di far cadere il regime e dare il via a un nuovo percorso di pace. Ci riuscì da vincitore, cioè da «sognatore che non si è mai arreso». Giovanni Del Bianco twitter: @g_delbianco

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