Massimo Moratti non ha affatto lasciato l'Inter, ma leggendo qua e là sembra che siano morti lui, la stessa Inter, il calcio, l'Italia intera. Dopo quasi 6 mesi di trattative il 70% della società è passato al gruppo indonesiano, ma il fatto che dopo 18 anni al comando Moratti si sia tenuto un 30% significa una cosa sola: è convinto che nel medio periodo lui o la sua famiglia possano tornare a detenere la maggioranza. Magari di una società molto più ricca, organizzata, snella, internazionalizzata e quotata in Borsa. Il 30% di una società ad azionariato diffuso, perché la base ideologica di ogni quotazione in Borsa è scaricare sul parco buoi azioni sovraquotate (il caso Saras dovrebbe dire qualcosa), significa comandare, come insegnano le tante grandi aziende italiane dove i nostri capitalisti senza capitali dicono la loro con percentuali da prefisso telefonico. Insomma, Thohir farà il lavoro sporco e magari (è probabile, 250 milioni di euro tutto compreso è molto meno di quanto i vari Forbes valutavano il club) guadagnerà anche tanti soldi, però fondamentalmente per lui l'Inter vale il Boca Juniors o l'Arsenal: in presenza dell'offerta giusta saluterà la compagnia. Questo almeno pensa Moratti, poi magari si scoprirà che Thohir è cresciuto con in camera il poster di Altobelli e che non cederebbe la maggioranza dell'Inter per niente al mondo. Ma non crediamo. E soprattutto non lo crede nemmeno Moratti, se no avrebbe almeno per educazione risposto ai vari segnali (mai diventati offerte, va detto) dell'ex presidente Pellegrini, di Leonardo Del Vecchio, addirittura del tifoso interista Diego Della Valle, per non parlare delle fantomatiche cordate lombarde. Venendo all'aspetto sportivo, qualsiasi congettura sul calciomercato passa dalla nomina dell'uomo forte, che non sarà un dirigente amministrativo. Lo squalificato e in sostanza disoccupato Leonardo, un Pradé da strappare alla Fiorentina o un Baldini dal Tottenham: probabile che il nome del successore di Branca esca da questo terzetto, che Moratti resti o meno presidente onorario (in questo momento è per il no, per non mettere la faccia su scelte di altri). Insomma, un'Inter che si deve preparare a cambiare pelle per qualche anno di super-transizione che poi non sarebbe emmeno in contrasto con il vincere qualcosa (di pura compravendita la Roma ha costruito la squadra che sta guidando la serie A). Inevitabile però il bilancio sui 18 anni della seconda era Moratti-Inter (la prima ne durò 'solo' 13), senza entrare in discorsi psicoanalitici o troppo personali: molto positivo, al netto delle centinaia di milioni (comunque li aveva, come se noi investissimo 700 euro sulla squadra del nostro oratorio) buttati nell'impresa, di errori clamorosi (uno su tutti: chiedeva consigli a Moggi, quando Moggi era direttore generale della Juventus...) e di oltre un decennio di calcio italiano da asteriscare da qualsiasi punto di vista lo si guardi. 18 anni di alti e bassi, una maratona: Moratti è stato in spinta fino alla vittoria della Champions League nel 2010 e fino a quando la Saras gli ha fornito i mezzi per ripianare ogni anno le perdite. Poi il lungo addio, culminato con questa strana 'vendita ma non troppo'. La sua era non poteva che terminare in maniera indeterminata.
Twitter @StefanoOlivari