L’eterna trasferta del Cagliari

L’eterna trasferta del Cagliari

Pubblicato il 2 ottobre 2013, 10:04

Il caso dello stadio del Cagliari, al di là delle esternazioni di giornata di Cellino (l'ultima è che si abbandonerà la fredda Trieste per andare, forse, a Livorno a partire dalla partita con il Catania del 19 ottobre), spiega bene a cosa servano i club medi e piccoli di serie A. Un semplice riempitivo, buono per arrivare a 38 giornate di campionato da gustarsi in televisione per la gioia di emittenti, che senza il calcio fallirebbero, e intermediari (la mitica gallianianblatteriana Infront: l'ultima è che potrebbe-dovrebbe occuparsi lei del futuribile canale di Lega). Perché se domenica il Rocco era semivuoto i divani casalinghi, visto che in campo c'era l'Inter, erano pieni. E con i ricavi da stadio che mediamente incidono soltanto per un 15% sul totale, il Cagliari potrebbe giocare a Vipiteno o Lampedusa (sì, non hanno lo stadio da 20mila ma la deroga non si nega a nessuno): per i bilanci cambierebbe poco. Cambia, invece, l'aspetto sportivo. Perché di fatto i giocatori di Diego Lopez non giocano mai in casa, con tutta l'intimidazione nei confronti di avversari e arbitri che questo di solito comporta: domenica il rapporto era di dieci a uno in favore dei tifosi dell'Inter. C'è anche un altro aspetto: non avendo una pressione ambientale continua, il Cagliari considerando in ogni caso raggiungibile l'obbiettivo salvezza, potrebbe avere la tentazione di selezionare le partite in cui dare il massimo.Quindi è inutile aprire dibattiti sulle vie di fuga del Sant'Elia o sugli estintori di Is Arenas, quando dovrebbe intervenire una Lega degna di tale nome ribadendo un principio semplice: chi non ha un campo a norma, senza entrare nel merito delle colpe, non gioca. A meno che il campo non sia diventato un dettaglio e che per il sistema vada bene così: tutti a casa e figuranti in favore di telecamera. Twitter @StefanoOlivari

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