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Quando il mercato è una bufala

Redazione

29 luglio 2013

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A differenza dei casi Llorente e Gomez, colpi veri realizzati da Juventus e Fiorentina, il calcio italiano è pieno di affari saltati con clamore quando erano prossimi all’annuncio. Il 15 giugno 1999, il neo allenatore della Roma, Fabio Capello, in vacanza a Marbella, si muove verso Madrid per trattare col Real il centrocampista Clarence Seedorf. Il presidente Lorenzo Sanz chiede 50 miliardi di lire, Franco Sensi ne propone 35. La trattativa non decolla, si è inserita l’Inter, ma le leggende metropolitane prolificano e nelle radio della Capitale qualche ora dopo già si vaneggia: Capello e Seedorf avvistati a cena da “Romolo al porto” ad Anzio per festeggiare l’accordo. Ma mentre si descrivono i piatti selezionati dal menu, si scopre che quel giorno Romolo è chiuso per riposo e che Seedorf non è in Italia, dove arriverà in dicembre proprio all’Inter.
Pochi giorni dopo, il 24 giugno, a Fiumicino si presenta l’esterno sinistro Felipe Jorge Loureiro, accompagnato dall’agente Pedrinho (ex Catania). Sensi, consigliato da Zeman, aveva raggiunto l’intesa col Vasco da Gama: 40 miliardi di lire. Felipe attese invano l’automobile del club, perché nel frattempo Capello aveva sostituito Zeman e aveva convinto Candela a restare, bocciando così il brasiliano. Sensi dirà in tribunale che il procuratore mentì sullo status del calciatore, che non era comunitario.
Il 20 aprile 1999, era toccato alla Lazio di Cragnotti, la quale stava per perdere il duello scudetto col Milan. I quotidiani, all’unisono, urlarono in prima pagina: “Preso Rivaldo, operazione da 150 miliardi”. Per la precisione, 100 di cartellino, 50 d’ingaggio (10 all’anno per cinque stagioni). Al Barcellona, una contropartita fra Almeyda, Salas e il giovane Stankovic. Tutto fatto? Macché, l’agente Minguella aveva semplicemente “usato” la Lazio per svegliare il Barça, col quale trattava l’aumento di stipendio. Il Pallone d’oro in carica vedrà così l’Italia soltanto nel 2003, giocando una stagione in chiaroscuro con il Milan.
Affari posticipati. Primavera 1996, Ronaldo folleggia a Eindhoven. Va a Milano ufficialmente per curarsi un ginocchio malconcio, in realtà incontra Massimo Moratti negli uffici Saras accompagnato dall’agente italiano Giovanni Branchini. Ne esce con un portachiavi dell’Inter, che tuttora custodisce gelosamente, e con una promessa di matrimonio. Un anno prima, cedendo Jonk al PSV, l’Inter aveva ottenuto il diritto di precedenza sul Fenomeno. In agosto Moratti molla la presa, Ronaldo finisce al Camp Nou per 32 miliardi di lire. Il 5 aprile 1997, Moratti vede l’Inter fare 0-0 a Firenze, Ganz e Zamorano non pungono, e impone ai collaboratori: «Prendiamo Ronaldo». Detto, fatto, a cifre terribilmente più alte: 48 miliardi.
La Juventus nell’aprile 1994 si ritrova in casa prima Paulo Sousa, poi Ciro Ferrara, infine Moggi nei quadri dirigenziali. Don Luciano un anno prima era stato portato a Roma da Pietro Mezzaroma, padrone assieme a Sensi del club giallorosso. Sensi liquidò il socio, a denti stretti si tenne Moggi, nonostante non gli andasse. Lo spedì  a Lisbona per chiudere con lo Sporting l’affare Sousa. Con grande sorpresa, la Juventus mise la freccia e lo prese per 10 miliardi di lire. Sensi si infuria, la Juve chiude poco dopo anche per Ferrara, dato da mesi a un passo dalla Roma. L’agente di Sousa, Jose Veiga, chiarirà: «Dicevo a Moggi di firmare, lo Sporting era pronto, Sensi aveva dato l’okay, c’era il rischio che si inserissero altri club. Ora ho capito perché tergiversava». Poche settimane dopo, Moggi andrà alla Juventus, presentandosi coi due sogni infranti dei romanisti.
Occhio lungo quello del futuro imputato di Calciopoli, che nella primavera 2003 fece sostenere le visite mediche a Torino al diciottenne Cristiano Ronaldo, di proprietà dello Sporting Lisbona. Intesa raggiunta, in Portogallo sarebbe finito Marcelo Salas, che all’atto della firma si impuntò, rifiutando il trasferimento e optando per il suo River Plate. A luglio, Cristiano impressionò il Manchester United che lo affronta in amichevole. Un mese dopo ecco firma per il club di Old Trafford, che lo pagò 12,3 milioni di sterline. Da un fuoriclasse a un altro, Leo Messi. A Barcellona negano la storia, ma nel 2002, per ammissione di Enrico Preziosi, la Pulce - nonostante il contratto firmato un anno prima coi blaugrana - sostenne un provino per il Como, all’epoca in A, che lo bocciò. «Succede» il commento del signor Giochi Preziosi, «aveva solo 15 anni».
All’estero non sono da meno. Un caso su tutti, quello del Blackburn Rovers Campione d’Inghilterra, che nel 1995 su imbeccata del tecnico Kenny Dalglish, è prossimo a chiudere l’acquisto di Zinedine Zidane, promettente trequartista del Bordeaux. Operazione da 4 miliardi di lire. All’ultimo, prima del viaggio in Francia per la definizione, il presidente del club blocca tutto: «Perché investire sul francese quando abbiamo in rosa Tim Sherwood?». Già, perché?
A differenza dei casi Llorente e Gomez, colpi veri realizzati da Juventus e Fiorentina, il calcio italiano è pieno di affari saltati con clamore quando erano prossimi all’annuncio. Il 15 giugno 1999, il neo allenatore della Roma, Fabio Capello, in vacanza a Marbella, si muove verso Madrid per trattare col Real il centrocampista Clarence Seedorf. Il presidente Lorenzo Sanz chiede 50 miliardi di lire, Franco Sensi ne propone 35. La trattativa non decolla, si è inserita l’Inter, ma le leggende metropolitane prolificano e nelle radio della Capitale qualche ora dopo già si vaneggia: Capello e Seedorf avvistati a cena da “Romolo al porto” ad Anzio per festeggiare l’accordo. Ma mentre si descrivono i piatti selezionati dal menu, si scopre che quel giorno Romolo è chiuso per riposo e che Seedorf non è in Italia, dove arriverà in dicembre proprio all’Inter. Pochi giorni dopo, il 24 giugno, a Fiumicino si presenta l’esterno sinistro Felipe Jorge Loureiro, accompagnato dall’agente Pedrinho (ex Catania). Sensi, consigliato da Zeman, aveva raggiunto l’intesa col Vasco da Gama: 40 miliardi di lire. Felipe attese invano l’automobile del club, perché nel frattempo Capello aveva sostituito Zeman e aveva convinto Candela a restare, bocciando così il brasiliano. Sensi dirà in tribunale che il procuratore mentì sullo status del calciatore, che non era comunitario.Il 20 aprile 1999, era toccato alla Lazio di Cragnotti, la quale stava per perdere il duello scudetto col Milan. I quotidiani, all’unisono, urlarono in prima pagina: “Preso Rivaldo, operazione da 150 miliardi”. Per la precisione, 100 di cartellino, 50 d’ingaggio (10 all’anno per cinque stagioni). Al Barcellona, una contropartita fra Almeyda, Salas e il giovane Stankovic. Tutto fatto? Macché, l’agente Minguella aveva semplicemente “usato” la Lazio per svegliare il Barça, col quale trattava l’aumento di stipendio. Il Pallone d’oro in carica vedrà così l’Italia soltanto nel 2003, giocando una stagione in chiaroscuro con il Milan.Affari posticipati. Primavera 1996, Ronaldo folleggia a Eindhoven. Va a Milano ufficialmente per curarsi un ginocchio malconcio, in realtà incontra Massimo Moratti negli uffici Saras accompagnato dall’agente italiano Giovanni Branchini. Ne esce con un portachiavi dell’Inter, che tuttora custodisce gelosamente, e con una promessa di matrimonio. Un anno prima, cedendo Jonk al PSV, l’Inter aveva ottenuto il diritto di precedenza sul Fenomeno. In agosto Moratti molla la presa, Ronaldo finisce al Camp Nou per 32 miliardi di lire. Il 5 aprile 1997, Moratti vede l’Inter fare 0-0 a Firenze, Ganz e Zamorano non pungono, e impone ai collaboratori: «Prendiamo Ronaldo». Detto, fatto, a cifre terribilmente più alte: 48 miliardi. La Juventus nell’aprile 1994 si ritrova in casa prima Paulo Sousa, poi Ciro Ferrara, infine Moggi nei quadri dirigenziali. Don Luciano un anno prima era stato portato a Roma da Pietro Mezzaroma, padrone assieme a Sensi del club giallorosso. Sensi liquidò il socio, a denti stretti si tenne Moggi, nonostante non gli andasse. Lo spedì  a Lisbona per chiudere con lo Sporting l’affare Sousa. Con grande sorpresa, la Juventus mise la freccia e lo prese per 10 miliardi di lire. Sensi si infuria, la Juve chiude poco dopo anche per Ferrara, dato da mesi a un passo dalla Roma. L’agente di Sousa, Jose Veiga, chiarirà: «Dicevo a Moggi di firmare, lo Sporting era pronto, Sensi aveva dato l’okay, c’era il rischio che si inserissero altri club. Ora ho capito perché tergiversava». Poche settimane dopo, Moggi andrà alla Juventus, presentandosi coi due sogni infranti dei romanisti.Occhio lungo quello del futuro imputato di Calciopoli, che nella primavera 2003 fece sostenere le visite mediche a Torino al diciottenne Cristiano Ronaldo, di proprietà dello Sporting Lisbona. Intesa raggiunta, in Portogallo sarebbe finito Marcelo Salas, che all’atto della firma si impuntò, rifiutando il trasferimento e optando per il suo River Plate. A luglio, Cristiano impressionò il Manchester United che lo affronta in amichevole. Un mese dopo ecco firma per il club di Old Trafford, che lo pagò 12,3 milioni di sterline. Da un fuoriclasse a un altro, Leo Messi. A Barcellona negano la storia, ma nel 2002, per ammissione di Enrico Preziosi, la Pulce - nonostante il contratto firmato un anno prima coi blaugrana - sostenne un provino per il Como, all’epoca in A, che lo bocciò. «Succede» il commento del signor Giochi Preziosi, «aveva solo 15 anni».All’estero non sono da meno. Un caso su tutti, quello del Blackburn Rovers Campione d’Inghilterra, che nel 1995 su imbeccata del tecnico Kenny Dalglish, è prossimo a chiudere l’acquisto di Zinedine Zidane, promettente trequartista del Bordeaux. Operazione da 4 miliardi di lire. All’ultimo, prima del viaggio in Francia per la definizione, il presidente del club blocca tutto: «Perché investire sul francese quando abbiamo in rosa Tim Sherwood?». Già, perché?

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