La Guardia di Finanza nelle sedi 41 club italiani, per l'inchiesta portata avanti dalla Procura di Napoli, regala righe facili ai giornalisti ma ha tutto l'aspetto del già visto. E quasi sempre in giugno... Dai vari calcioscommesse a Calciopoli, passando per tanti altri casi, in questo periodo il calcio italiano fa le pulizie non per la sua capacità di autoriformarsi (con dirigenti come Abete e Beretta non è facile) ma semplicemente stando in scia alla magistratura ordinaria. Siccome almeno a livello di documenti da fornire agli inquirenti sono coinvolti tutti i grandi club (con il Napoli messo peggio di altri), il circo del tifo mediatico non si è ancora messo in moto ed è quindi probabile che ancora una volta tutto il calcio italiano sia messo indistintamente alla gogna. Quasi tutti i reati ipotizzati hanno come obbiettivo l'evasione fiscale, attraverso false fatturazioni, contratti di immagine e commissioni strane. E in pasto al pubblico sono stati gettati i nomi di Lavezzi, Mutu, Tacchinardi, Liverani, Nocerino, D'Agostino, Oddo, Legrottaglie e tanti altri calciatori, mentre fra i procuratori svettano, si fa per dire, Alejandro Mazzoni e Alessandro Moggi, fresco di rifondazione della Gea. Il colpevolismo a prescindere è facile, ma prima che emergano fatti nuovi e specifici (finora anche la stessa Procura è allo stadio delle ipotesi) bisogna ricordare alcune cose.
1. Essendo il costo del lavoro quasi l'80% dei costi del calcio italiano, è difficile che l'evasione fiscale sia sistematica: troppe le parti coinvolte e troppe le possibilità di controllo. Il che non toglie che in singole operazioni si sia potuto creare tanto 'nero'.
2. Il vituperato calcio italiano di sola Irpef dà allo Stato italiano più di un miliardo di euro l'anno e in molte città, anche importanti, i calciatori risultano incredibilmente essere i contribuenti più ricchi (il modello Unico è pubblico). La lotta all'evasione, pur giusta, parte sempre dai bersagli più facili.
3. Non c'era bisogno della magistratura per evidenziare il ruolo assurdo che hanno ormai i procuratori più importanti. Non più curatori degli interessi dei propri calciatori, cercando giustamente di massimizzare le entrate, ma anche consulenti (in certi casi finti) dei club che tramite loro, più che con altri club, costruiscono a volte 'riserve' da usare in ambiti non solo calcistici. Diventa più chiaro il perché alcuni club abbiano 'fiducia', per così dire, solo in certi procuratori e li usino anche per operazioni facilissime, quando c'è già l'accordo sia con il giocatore che con la società venditrice.
4. I contratti per i diritti di immagine sono quasi tutti strutturalmente falsi, hanno il solo scopo di permettere un pagamento a una società erogatrice di servizi (quindi con l'Iva ma senza oneri previdenziali) invece che a persone fisiche. Falsi anche perché nel 90% dei casi non c'è alcuna immagine, trattandosi di ragazzi che non potrebbero fare i testimonial nemmeno della pizzeria sotto casa. Altra storia per i calciatori famosi, che hanno mille possibilità sia di guadagno che di occultamento del guadagno stesso.
5. L'inchiesta è iniziata nel 2012, ma com'è come non è solo adesso è stata resa pubblica. Il sospetto di giustizia-spettacolo, in un momento in cui per motivi economici e sociali c'è bisogno di distrarre gli italiani, è legittimo almeno quanto l'indagine stessa. Ma il colpevole del disastro italiano non è Lavezzi, che anzi ha prodotto più ricchezza reale di quanto abbiano fatto Draghi o Monti.