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Redazione

02.04.2013 ( Aggiornata il 02.04.2013 11:21 )

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Paolo Di Canio ha idee politiche di destra, mai nascoste ma nemmeno sbandierate: va sul discorso soltanto quando ce lo tirano dentro per i capelli che non ha. Sul Guerino non ci sembra il caso di inerpicarci in una distinzione fra mussoliniano, quale Di Canio si definisce, e fascista, mentre invece è interessante notare come gli addetti ai lavori del calcio siano anche nel 2013 trattati da cittadini di serie B. Il più ignorante dei cantanti e il più in malafede dei giornalisti (per non parlare dei politici di professione, che all'ultimo giro sono stati rinfrescati con un'infornata di nullità) può lanciare proclami di ogni tipo, mentre il calciatore o l'allenatore devono tenere la testa bassa e parlare solo di calcio. Al massimo gli viene permesso di fare beneficenza e di esprimere un buonismo generico (chi mai è contro la pace, a parte i fabbricanti di armi e qualche super-fanatico?). La vicenda delle dimissioni di David Miliband da dirigente (oltretutto onorario) del Sunderland, dopo l'ingaggio di Di Canio come manager con un contratto fino al 2015, si è guadagnata le prime pagine dei giornali ma più per la notorietà dei personaggi che per la logica discriminatoria che c'è dietro. Vicenda nota, che non necessita del nostro copia e incolla ma che merita almeno una sintesi. Miliband, ex ministro laburista (nonché fratello del leader del partito Ed, che lo ha superato nelle primarie per la guida del partito), ha usato le opinioni politiche di Di Canio per fare il fenomeno e guadagnarsi un credito da usare in futuro per recuperare un elettorato di sinistra-sinistra che al Labour Party non ha ancora perdonato il decennio di Blair. Infatti Miliband ha da poco annunciato che lascerà la politica per dedicarsi ai soliti fumosi incarichi internazionali che non si negano ai trombati eccellenti di ogni nazione, Italia compresa, ma chiunque è in grado di capire che nessun uomo politico lascia mai veramente la politica. Questo per il caso specifico, mentre in generale va detto che questi atteggiamenti mediatici, prima ancora che politici, sono unidirezionali e comunque rivolti a chi non lavora in Italia in una squadra importante: per la serie 'facciamo il compitino contro Di Canio ma asteniamoci da commenti su Buffon e Abbiati'. Il famoso numero del Guerin Sportivo dopo le Politiche del 1976, cioé in pieni anni di piombo, in cui quasi ogni calciatore di serie A rivelava il partito che aveva votato, nell'Italia di oggi sarebbe semplicemente impossibile. Non per cattiva volontà del Guerino, ma perché risponderebbe non più del 10% dei calciatori. Così una persona come Totti è costretta a fare la figura dell'ignorante, cosa che non è, affermando nelle interviste che non si interessa di politica oppure trincerandosi dietro banalità qualunquistiche. Conclusione: fascismo è anche impedire, più o meno esplicitamente, l'espressione delle idee individuali. Impedire di farlo a Di Canio è quindi fascista. Twitter @StefanoOlivari

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