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Fenomeni, yacht e il calcio con papà

Redazione

7 novembre 2012

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Protagonista forse no, testimone sicuramente: Eidur Gudjohnsen ha conosciuto il grande calcio dall’interno. I primi passi di Ronaldo Fenomeno a Eindhoven, il Chelsea di Mourinho, il Barcellona di Messi e della storica tripletta Liga-Champions-Copa del Rey. A 34 anni l’islandese è tornato alle proprie origini calcistiche, ovvero il Belgio: iniziò tutto nel piccolo Brussegem, mentre papà Arnor faceva furore nella massima divisione con il Lokeren. Il presente di Gudjohnsen si chiama invece Cercle Brugge, fanalino di coda della Jupiler Pro League che l’attaccante si è preso sulle spalle: 4 gol nelle ultime 5 partite. Inevitabilmente però ogni intervista si trasforma in una sorta di amarcord. “Ronaldo era un lazzarone, non aveva mai voglia di allenarsi e di correre, ma faceva cose incredibili. Ha conquistato il mondo, eppure non ha espresso tutto il talento di cui era dotato. Non riesco a immaginare dove sarebbe potuto arrivare se lo avesse fatto. Palla al piede era immarcabile. Luc Nilis è il giocatore più sottovalutato con il quale abbia giocato. Vedo oggi tanti attaccanti definiti top player, ma se escludiamo i due big assoluti – Messi e Cristiano Ronaldo - lui non era da meno. Tecnica e capacità di muoversi senza palla erano fenomenali. Roman Abramovich è sempre stato un presidente molto presente. Al Chelsea ogni settimana veniva negli spogliatoi. Non alzava la voce, ma il messaggio era chiaro: lui era il boss, investiva nel club un sacco di soldi e pretendeva dei risultati. Il Chelsea è il suo passatempo, e per essere tale un passatempo ti deve divertire. Ma se non vinci, dov’è il divertimento? Non ho mai partecipato alle famose feste sugli yacht di Abramovich. Però una sera ne ho avuto uno tutto per me. E’ accaduto qualche settimana fa, ero a Barcellona a festeggiare il compleanno di mia moglie e ho chiamato un collaboratore di Abramovich per chiedergli informazioni sul noleggio degli yacht: costi, agenzie a cui rivolgersi, eccetera. Un’ora dopo mi richiama: il boss ha detto che puoi usare uno dei suoi. Fammi solo sapere entro quando ti serve. Chelsea o Barcellona? Dal punto di vista della mia carriera scelgo i londinesi, con loro ho dato il meglio. Per tutto il resto dico Barcellona, che non è solo una squadra di calcio ma una vera e propria filosofia. Il calcio di Messi, Xavi, Iniesta e compagni ti da dipendenza: possesso palla, passaggi brevi, movimento, giochi sempre nello stesso modo eppure non vorresti mai fare altro. Il difficile è andartene. Non hai più Messi in squadra, ma soprattutto ti sembra di praticare un altro sport. Io scelsi Monaco e la Ligue 1, è stato terribile: mi disgustava anche solo l’approccio alla partita del calcio francese. Non ho lasciato amicizie a Barcellona. Il detto che nel mondo del calcio l’amicizia è cosa rara non è un luogo comune. Con Messi e compagni c’era e c’è tuttora rispetto, come buoni vicini di casa, ma non ci sentiamo certo al telefono tutte le settimane. Il mio più grosso errore è stato lasciare il Barcellona, ma a 30 anni vuoi giocare con continuità e in Catalogna non era possibile. Tutte le mie esperienze successive sono state un flop, ma sarebbe disonesto dare la colpa solo all’allenatore o alla squadra di turno. Comunque non ho rimpianti, se non quello di non essere riuscito a giocare assieme a mio padre in nazionale (il 24 aprile 1996 a Tallin Gudjohnsen entrò in campo proprio al posto di papà Arnor, nda). Ma guardando indietro, credo di aver fatto il massimo”. Dichiarazioni tradotte dal quotidiano Het Nieuwsblad

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