La moviola in campo è uno di quegli argomenti evergreen, basta un errore a favore della squadra che ci è antipatica ed ecco uscire dalla trincea i pasdaran della tecnologia. I quali dimenticano che: 1) Finché Blatter avrà vita le regole del grande calcio di Champions League non saranno diverse da quelle del villaggio africano, inoltre su questo argomento il suo probabile successore Platini la pensa più o meno allo stesso modo; 2) Sulle regole decide l'International Board, che si riunisce una sola volta l'anno e che è orientato ad autorizzare solo esperimenti (memorabile quello di un Mondiale Under 17, con l'area 'punibile' dalla tre quarti in su) da qui all'eternità; 3) I dibattiti 'nazionali' sono assurdi, chi vuole rimanere nei ranghi FIFA (e tutti hanno la convenienza a rimanerci, come provato dal fallimento del G14) deve accettare le regole FIFA anche se possono sembrare anacronistiche nelle realtà più evolute. Ma il mondo non è fatto solo di Chelsea-Manchester United; 4) Il campo di applicazione della moviola in campo, anche nei casi più estremi, può riguardare solo situazioni di posizione (fuorigioco, gol-non gol, fallo dentro o fuori l'area di rigore) e non certo quelle di contatto che spesso non si riescono a definire nemmeno al centesimo replay o di volontarietà-non volontarietà (il fallo di mano, quindi, perchè l'eccesso di vigore nelle situazioni da rigore è comunque sanzionabile con il fallo). Il punto 4 è quello secondo noi più importante, perché l'arbitro, i tre arbitri, i cinque (sei, cento) arbitri saranno sempre necessari per definire le situazioni opinabili ma in tutte le altre possono essere aiutati sì dalla tecnologia, ma soprattutto dal cambio di regole. Anzi dal cambio della regola per eccellenza, quella che generazioni di mogli e fidanzate (ma anche di tifosi maschi) mai hanno compreso: quella del fuorigioco. Che non è un dogma imposto da chissà quale divinità, ma una regola scritta da persone e che dalle persone è stata cambiata. Più volte, oltretutto. Nel 1863 chiunque veniva considerato in fuorigioco, se si trovava davanti al compagno che passava il pallone: esatto, proprio come nel rugby dei giorni nostri. Dopo qualche anno il fuorigioco fu limitato a chi, sempre trovandosi davanti al compagno che effettuava il passaggio, non avesse almeno tre avversari fra sè e la linea di fondo. Vari altri aggiustamenti, primo fra tutti l'introduduzione del concetto di fuorigico passivo, per arrivare alla grande svolta del 1925: gli avvesari fra il ricevente il passaggio e la linea di fondo da quel momento possono essere anche 'solo' due. E' inesatto dire che dal 1925 non sia cambiato più niente, perché al di là della mille valutazioni sul fuorigioco passivo il dibattito in linea-non in linea è stato importante almeno quanto la formulazione della regola. Veniamo al dunque: è arrivato il momento di abolirlo totalmente, il fuorigioco. Per la pace della Champions League ma anche del villaggio africano. Sia per la qualità del gioco (squadre più lunghe, meno tempi morti, più spazio per i giocatori di talento) che soprattutto per la credibilità delle decisioni arbitrali. Nessun fuorigioco, nessun errore sul fuorigioco. Semplice, no? Chi ha paura del nuovo può pensare a cosa sarebbe oggi il calcio se nel 1992 non si fossero cambiate le regole sul passaggio al portiere. Sembrava un delitto di lesa storia, invece ha cambiato in meglio il modo di giocare e limitato l'ostruzionismo. Cambiare il calcio si può e si deve, se vogliamo parlare di calcio. Se invece la buttuamo sulla politica sportiva, è chiaro che un'area di discrezionalità più ampia significa anche più potere per gli arbitri e per chi li dirige o li condiziona.