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La vittoria di questa Italia

Redazione

08.06.2012 ( Aggiornata il 08.06.2012 11:36 )

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La Nazionale scalda i cuori meno delle squadre di club per cui si tifa, almeno in Italia dove il nazionalismo (in senso politico) è confinato in un ghetto, tranne nel caso in cui si vinca: allora scattano il po-po-po e i caroselli, per qualche ora tutti diventiamo fratelli. Fu così anche nel miitizzato, prima ancora che mirtico, 1982, quando le critiche personali a Enzo Bearzot superarono quelle ai tutti i suoi successori messi insieme. La stampa romana voleva Pruzzo, Di Bartolomei e Turone, quella milanese tirava la volata a Beccalossi, quella torinese chiedeva di dare la squadra in mano a Beppe Dossena (peraltro fra i 22 convocati) e una chance all'emergente Galderisi, a Napoli si spingeva per Bruscolotti. Critiche con toni inimmaginabili oggi, ma critiche giornalistiche. I tifosi dell'epoca magari erano delusi per la mancata presenza dei propri idoli, ma mai si sarebbero sognati di tifare contro l'Italia a prescindere. Di più: il fatto che la Juventus ne fosse l'architrave, con sei titolari (sarebbero stati sette senza l'infortunio di Bettega), non era considerato dai tifosi delle altre squadre un motivo sufficiente per considerare l'Italia una squadra nemica. E non era stato così nemmeno quattro anni prima, quando in Argentina i titolari bianconeri erano otto (e a un certo punto in campo nove, quando Cuccureddu sostituì Bellugi). Inutile riscrivere la storia di trent'anni di calcio e dei motivi (non solo televisivi) per cui ormai contano solo i club, è così e basta. Sinceramente ci facciamo tenerezza da soli mentre diamo importanza a Polonia-Grecia o Irlanda-Croazia, il cui livello tecnico se si trattasse di club indurrebbe chiunque a cambiare canale: forse è un omaggio ai tempi antichi. Però almeno in una cosa Prandelli è riucito a riportare lo spirito positivo del 1982: proprio nel tifo. Non sentiamo nessuno 'antipatizzare' a prescindere con una nazionale semi-sperimentale o notare che all'esordio potrebbero essere sei gli juventini in campo. E non è che frequentiamo persone illuminate, ma gente che al solo evocare la parola Calciopoli tira fuori il coltello. Non è stato così con le nazionali di Vicini, Sacchi, Maldini, Zoff, Trapattoni, Lippi e Donadoni, che pure non avevano un 'blocco' di queste dimensioni (a un certo punto forse il Milan per Sacchi, che poi comunque cambiò), squadre contro cui una parte di italiani ha senza ipocrisie tifato contro nonostante le convocazioni 'mosaico'. Con i continui richiami all'etica, peraltro con applicazioni differenti a seconda dei nomi, con l'enfasi posta sull'essere la squadra di tutti (e quindi anche criticabile da tutti, visto che non ci sono talebani pronti a difenderla anche contro l'evidenza), con gesti simbolici ma comunque di grande impatto (come la visita ad Auschwitz), con discorsi senz'altro 'furbi' ma anche doverosi, Prandelli ha ridato alla maglia azzurra il suo patrimonio più grande che è quello dell'affetto senza che questo si traduca in odio per l'avversario: chi potrebbe odiare la Spagna o la Francia, intese come squadre? Gli sarà fatta la statua equestre o sarà linciato a seconda dei risultati, come d'abitudine, di sicuro ci ha già ridato qualcosa di importante. Stefano Olivari, 8 giugno 2012

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