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Le tre stelle lasciamole ai tifosi

Redazione

31 maggio 2012

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Prima che tutto il dibattito venisse assorbito dal Calcioscommesse, l'unico altro tema degno di interesse sembrava la terza stella della Juventus. In questi giorni, tra una chiusura e l'altra del giornale, mi è capitato di ripensarci a lungo, quasi come se dello straordinario successo di Conte rimanesse come unico ricordo l’ossessione dei 30 scudetti, ragione di spaccatura tra juventini e antijuventini. Alla cosa aveva contribuito molto la società, almeno fino alla frenata di qualche giorno fa. I dirigenti bianconeri hanno ideologizzato secondo me all’eccesso quel 30, arrivando a fissarlo nelle insegne del nuovo stadio, nelle bandiere fuori dalla sede e persino nello champagne stappato dopo la vittoria. Lo dico oggi, per non arrivare tra i ritardatari: è stato, almeno fino a un certo punto, un errore grossolano quello compiuto da Andrea Agnelli, in questo nipotino ideale di Antonio Giraudo. Esattamente come sbagliò Massimo Moratti nel volere dare una connotazione di superiorità morale allo scudetto 2006, quello che lui considerava un risarcimento del complotto subito. Ricordo ancora Materazzi in smoking bianco, poi è arrivata la prescrizione per illecito. Su quel titolo - d’onestà per gli uni, di cartone per gli altri - si è spezzato il calcio italiano. E oggi si corre lo stesso rischio su questa guerra delle tre stelle. Ognuno si forma una propria verità personale e ne esiste persino una storica più ampia, che impegna la ricerca negli anni e nei decenni. Voglio dire che ogni juventino è libero - forse anche con fondati motivi - di ritenere gli scudetti vinti 30 e non 28. La Juve del biennio di Capello avrebbe vinto anche senza le telefonate di Moggi, colpito a sua volta dalla paranoia di una congiura milanese. Però rimane una verità istituzionale, riconosciuta, che nel nostro caso passa dalla Federcalcio e si riassume in un albo d’oro valido per tutti. Anch’io ritengo che il Bologna abbia moralmente otto scudetti e non sette, perché nel 1927 Arpinati (bolognese, per dire dei tempi cambiati) non fece quanto fatto da Guido Rossi nel 2006. Però mi devo piegare all’albo ufficiale e quando conteggio i titoli rossoblù, ne riporto sette. Lo abbiamo fatto anche nel poster della Juve Campione d’Italia, fissando i 28 ufficiali e non i 30 della propaganda. Apriti cielo. Oltraggio al popolo bianconero. Anzi, per diretta conseguenza, servi noi tutti di dentimarci Moratti. Così va l’Italia nel 2012. In cui la pubblicità è pronta a sostenere la tesi del 30 pur di accontentare i tanti clienti bianconeri. Chi se ne frega se pure questo sgretola l’unità? Non ho voluto accodarvi il Guerin Sportivo. Nelle nostre pagine, si discute di storia più che in qualunque altra testata. Ma in maniera seria, profonda. Abbiamo sollevato noi, e non altri, il discorso relativo agli scudetti della Juve 1908 e 1909, chiedendo alla Federcalcio una risposta in merito. Ma finché questa non avverrà, nessuno potrà mai arrogarsi il diritto di autoproclamare il proprio numero di titoli. Altrimenti salta il tavolo, svanisce un piano condiviso, un codice comune. E si va ognuno per la propria strada, senza più grammatica che ci faccia riconoscere gli uni con gli altri, producendo la violenza verbale di siti internet trasformati in latrine di odio. Per questo, e lo ripeto, Andrea Agnelli ha sbagliato a fare il capopopolo, a cercare il consenso con la facile demagogia. Ho preferito le parole di Antonio Conte: «Per me è lo scudetto numero 1 come allenatore». Se un principio non sta più bene, si esce da quel mondo, si va altrove. Chi non accetta un sistema, ancorché ingiusto e fallace, lo abbandona. Lo ha fatto la stessa Juve all’indomani della condanna di Luciano Moggi, scaricandolo alle sue responsabilità. Non possiamo francamente assistere a un club che si appone 30 scudetti sulla maglia, magari con un espediente di marketing grafico, e che fa parte di una Federazione che gliene attribuisce 28. È incoerente. Di più: è schizofrenia. Le tre stelle lasciamole ai tifosi, i tesserati hanno altri obblighi. In tutto questo ho tenuto in fondo la Federcalcio, la sempre più accerchiata Federcalcio. Da anni assiste in beata solitudine alla protervia dei grandi club, disquisendo come i savi dottori di Bisanzio sulla liceità degli atti. A volte spiace che Abete sia una persona troppo perbene.

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