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Il sicuro rimpianto di Guardiola

Redazione

29.04.2012 ( Aggiornata il 29.04.2012 17:55 )

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Si può dire che Pep Guardiola abbia sbagliato, lasciando la squadra che gioca il miglior calcio del mondo? Perché finora abbiamo letto solamente l'esaltazione dell'anno sabbatico, ammesso che Guardiola realmente voglia prenderselo e non abbia già in canna un colpo lontano da casa. Una visione del mondo apprezzabile se il quarantunenne catalano intendesse ora fare il pittore, il falegname o aprire un ristorante. Un po' meno se nella sua testa si sentisse ancora allenatore, perché in nessuna squadra del mondo troverà mai le condizioni che gli hanno permesso di costruire una squadra che verrà ricordata nei prossimi decenni a prescindere dalle sue vittorie (tante, ma non è che prima del 2008 il Barcellona non esistesse). E quali sarebbero queste condizioni, che può essere utile ricordare a chi vuole proporre a casa sua il 'modello Barcellona?'. 1. Un numero impressionante di grandi giocatori formati in casa, molti anche della stessa generazione. Del teorico 11 titolare vengono dal vivaio o comunque sono arrivati in blaugrana da minorenni Victor Valdes (classe 1982), Puyol (1978), Piqué (1987), Busquets (1988), Xavi (1980), Iniesta (1984), Pedro (1987) e lo stesso Messi (1987. arrivò in Catalogna a 13 anni). 8 su 11. Una statistica che, volendo parlare solo di calciatori titolari da Champions League, può a questo livello essere avvicinata solo dal Bayern degli Schweinsteiger, dei Lahm e dei Muller e nel passato recente dal Real Madrid pre Florentino Perez. 2. Un ideale di calcio che è interiorizzato dal suo pubblico e che mai passerà in secondo piano rispetto al risultato, nemmeno di fronte a vittoria nella Liga o grandi stagioni di Champions. I fischi ai pur vincenti Van Gaal e Rijkaard possono essere una prova di questo, così come la scelta di Villanova come successore di Guardiola. Il 'progetto' non è una parola vuota per mascherare i fallimenti del presente o campagne acquisti con il braccino corto, qui è tutto. 3. L'essere a casa propria, condizione che di solito aumenta le pressioni ma che quasi solo a Barcellona ottiene l'effetto contrario. Oltretutto con ingaggi spuntabili in pochissimi club del mondo o presso qualche ricco pazzoide in oscuri campionati. 4. Non essere solo calcio, rimanendo però in equilibrio fra difesa dell'identità e apertura verso il mondo. In altre realtà, anche spagnole, il rischio concreto sarebbe quello del provincialismo ma è proprio la prospettiva internazionale del Barca a salvarlo da questo rischio. Se vedessimo una Roma per otto undicesimi composta da romani o un'Atalanta da bergamaschi, per citare due vivai che potrebbero tranquillamente mettere in campo otto giocatori di serie A, non saremmo qui a elogiare l'identità ma piuttosto leggeremmo di leghismo applicato al calcio o di 'campioni che bisogna prendere sul mercato'. Insomma, anche in questo equlibrio il Barcellona è irripetibile. 5. Questo, e sottolineiamo 'questo', Barcellona è stato costruito da Guardiola grazie ai suoi campioni (quelli definibili fuoriclasse non sono comunque più di tre) ma anche grazie a se stesso e alle sue intuizioni. Perché non è vero che la squadra non è mai cambiata, visto che spesso lo fa anche durante una singola partita. Era la squadra di Guardiola. Per tutte queste ragioni ci dispiace che Guardiola abbia interrotto una bellissima storia, senza un vero perché. Stefano Olivari, 29 aprile 2012

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