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L'invasione degli ultras corpi

Redazione

23.04.2012 ( Aggiornata il 23.04.2012 14:31 )

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Di fronte all’osceno spettacolo di Marassi, i sociologi della domenica si sono scatenati. Colpa dello Stato incapace di garantire la legalità. Anzi no, dei giocatori e di Preziosi succubi degli ultrà. Infine, giusto per non farsi mancare nulla, ecco il retroterra culturale, la fine dei valori tradizionali, il male da riportare alla famiglia, alla società, al complesso di edipo o al significato fallico. La spiegazione di quanto accaduto nei distinti (chiamarli ancora così sarà difficile) di Marassi è molto più semplice. È il quotidiano del calcio italiano. Non da oggi, ma da molti, moltissimi anni. Lo aveva già detto Fabio Capello un po’ di tempo fa, ottenendo come unico risultato le reazioni stizzite delle istituzioni romane, le stesse che oggi chiedono fermezza e rigore contro i genoani. Le frange violente del tifo comandano il sistema, magari facendo affari d'oro insieme alle vittime. C’è un importante dirigente che per lungo tempo si è opposto ai suoi tiranni, obbligato per questo a girare scortato, poi è scattato il dissequestro e ora, guarda la coincidenza, va ai raduni di quei guerrieri. Ce n’era un altro che li faceva salire in barca e che lasciava loro campo libero sul marketing. Perché va bene essere difensori della maglia, ma anche la custodia dell’Iban è importante. È uno stillicidio, un continuo aggiungersi di episodi di violenza, di soprusi e di rappresaglie. Non c’è stagione di Serie A nella quale non si registri una dozzina di raid al campo di allenamento. Solo due settimane fa era toccato a Mutu, minacciato a Cesena, piazza un tempo meravigliosa e pacifica. Bombe carta, intimidazioni, qualche schiaffo in faccia al malcapitato di turno, un’auto che brucia nel silenzio imbarazzato e connivente di tutti. Da alcune stagioni, gli ultras - non tutti, ma molti - determinano pure la scelta dell’allenatore e la cessione dei giocatori. Chiedere a Diamoutene, prima aggredito e poi venduto dal Lecce, o allo stesso Milanetto, fatto fuori dagli stessi difensori dell'onore che ieri chiedevano a Marco Rossi «maglia e calzoncini». Quello che si è visto rimane raccapricciante, soprattutto perché la gogna è avvenuta in diretta, davanti all’onnipotente tv. Ma nel resto della settimana, sotto traccia, le prevaricazioni sono altrettanto sgradevoli e inquietanti. Se un calciatore va alla cena della curva, gode di un’immunità. Se si rifiuta, beh, allora se la cerca. E poi i biglietti omaggio, la gestione dei parcheggi negli stadi del Nord, la presenza di capiultrà sugli aerei, nei ritiri del sabato o alle feste della squadra, posti in cui nessun mortale (figurarsi un giornalista) avrebbe mai accesso. Per chiuderla qui, basti ricordare che l’unica partita sospesa in Serie A non è stata fermata dal Questore di Roma, che anzi si dannava per farla continuare, bensì dai ras giallorossi. Tutti spaventati, intimiditi, persino lo Stato, che non ha trattato per Aldo Moro, ma si piega con quattro teppisti. Spiace solo, e lo dico con una lunga militanza in curva, che certi soggetti rovinino gli ideali e le battaglie giuste degli altri. Il potere dà alla testa. Di che cosa lo sappiamo bene. twitter@matteomarani

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