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Michu non è Fabregas (anche se gioca meglio)

Redazione

2 aprile 2012

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Fra le discussioni calcistiche più oziose, e per questo generalmente più infuocate, ci sono quelle sul valore assoluto dei giocatori, cui seguono confronti infiniti, non importa se fra ruoli e epoche diverse. Un po’ come quando da bambini ci si chiede se sia più forte la tigre o il leone, oppure chi vincerebbe fra Godzilla e King Kong. Meno male che esiste il calcio, “recupero settimanale dell’infanzia” secondo lo scrittore Javier Marías, che evidentemente ancora non aveva fatto i conti con le partite tutti i giorni, anticipi del venerdì compresi… A parte alcuni geni “a prescindere”, nessun giocatore può essere valutato astraendo dalle interazioni coi compagni di squadra e dal particolare sistema di gioco nel quale si inserisce. Persino uno come Xavi, gettato in una squadra che basasse tutto su transizioni rapide da una metacampo all’altra, comincerebbe ad apparire “lento” o “poco intenso”. Ciò offre lo spunto per parlare di due elementi che in Spagna stanno facendo così bene da indurre qualcuno a proporli come candidati nell’affollatissima competizione del centrocampo della nazionale: De Marcos dell’Athletic Bilbao e Michu del Rayo Vallecano. Il primo, una sorta di simbolo dell’Athletic di Bielsa per l’inesauribile dinamismo e la propensione ossessiva ad attaccare lo spazio senza palla; il secondo, un centrocampista che senza essere né rifinitore né regista né mediano, partendo alle spalle dell’unica punta ha già realizzato - grazie al tempismo negli inserimenti - ben 13 gol, quattro in più di Fàbregas. Quindi Michu prima di Fàbregas? No, perché sia il rayista che De Marcos c’entrano poco o nulla col contesto della nazionale. Michu è un giocatore molto lineare che per brillare ha bisogno di un gioco diretto, che gli offra la possibilità di inserirsi; De Marcos invece come mezzala è impensabile al di fuori della ricerca costante della verticalizzazione. Athletic e nazionale spagnola sono accomunate dal gioco d’iniziativa e dal possesso-palla, ma declinato in maniera diversissima: i tagli di De Marcos fra terzino e centrale aprono varchi utilissimi, ma se l’azione non trova subito sbocco in avanti, se si torna indietro e si ricomincia l’azione fraseggiando a ritmi più bassi, allora il De Marcos centrocampista non ha più senso. Se già non pare del tutto appropriata la sua convocazione nell’Olimpica, in nazionale maggiore si spiegherebbe solo come rincalzo per i terzini, per la capacità di coprire tutta la fascia in una selezione che i teorici centrocampisti esterni li usa per creare superiorità nel mezzo. (a cura di Valentino Tola)

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