Piccola fine di una grande Inter

Piccola fine di una grande Inter

Pubblicato il 14 marzo 2012, 11:52

La seconda grande Inter della storia recente, quella di Moratti figlio, non è finita certo nella doppia sfida triste e anche un po' sfortunata contro il Marsiglia: incrocio arrivato dopo una stagione comunque sbagliata e senza guizzi, con l'unica serie positiva stroncata dalla cessione dell'unico centrocampista di qualità ancora vivo, Thiago Motta. Questa Inter è finita a Madrid il 22 maggio 2010. Il punto più alto della sua parabola, il raggiungimento del più importante trofeo planetario (con buona pace dei Mondialini per club e delle sempre più tristi nazionali), ha messo nella testa del presidente nerazzurro una domanda che lo martella ancora oggi: ne valeva la pena? Non solo per i 500 milioni di euro veri, stima per difetto, buttati nell'impresa dal 1995 in poi, ma perché da quel momento il modello non sarebbe più stato quello piscoanalitico dell'Inter del padre e nemmeno quello concreto delle grandi del presente, ma l'Inter del Triplete. E non a caso Moratti non fece barricate, come il contratto gli avrebbe permesso, per trattenere Mourinho: non era più tollerabile sentir parlare di 'Inter di Mourinho', l'obbiettivo raggiunto aveva permesso di tornare al passato 'simpatico' (dipende dai punti di vista). Sembrano dettagli, ma sono i dettagli che fanno la differenza in uno sport basato spesso sul nulla. Da lì sono nati due anni di errori: un assurdo misto di regolamenti di conti personali (Oriali, ma per certi versi anche Mourinho), cessioni senza senso (Balotelli), smantellamento con il il fragile paravento di un fair play finanziario che non rispetta nessuno (Eto'o), operazioni scellerate (Forlan), acquisti di giocatori normali (Pazzini, Ranocchia) e di giovani futuribili con l'unico intento di rimarcare una distanza con il recente passato. Il tutto annegato nella gratitudine per i vecchi, l'unico aspetto della vicenda che è giustificabile, oltre che nel solito rosolamento dell'allenatore di turno a prescindere dalle colpe: in realtà solo Benitez, peraltro ingaggiato senza conoscerne la rigidità, si è posto in maniera sbagliata (''Da oggi si gioca a calcio'', detto a chi due mesi prima aveva vinto tutto, non fu la migliore delle presentazioni), mentre gli altri, compreso il limitato Gasperini, hanno solo subìto la situazione. Se l'anno scorso l'orgoglio di quelli veri ha limitato i danni e portato quasi a un clamoroso sesto scudetto consecutivo (se Eto'o avesse segnato di piatto a porta vuota l'1 a 1 nel derby), quest'anno la benzina è semplicemente finita. Ma finita davvero, perché il declino nello sport è raramente graduale. Questo gruppo non ha più niente da dare, con i suoi giocatori di maggiore qualità assoluta (Maicon e Sneijder) logori più di quelli che stanno qualche gradino sotto e nessuno di veramente interessante nelle classi di età più giovani. Insomma, il futuro prossimo di questa Inter sarà quasi certamente peggiore del presente. Prima di tutto perché Moratti non spenderà più come il Moratti del passato, ma anche perché l'uscita dal giro della Champions League significa non poter arrivare ad un certo tipo di giocatori (ammesso di avere i soldi per pagarli). Con il senno di prima, non quello del poi, la scelta dell'allenatore dovrebbe quindi andare su un costruttore di squadre e non su uno che ti chiede subito Cristiano Ronaldo e dintorni. Se invece i soldi in campo fossero quelli del passato, i grandi nomi da buttare nella mischia non mancherebbero: da non dimenticare che cinque undicesimi della squadra del Triplete (Lucio, Sneijder, Pandev, Eto'o, Milito, senza contare Thiago Motta) arrivarono all'Inter proprio nella stagione del Triplete. Significa che con le idee chiare e i soldi sul tavolo non occorrono secoli per costruire una squadra vincente. Il passato non si cancella, ma come arriva il momento della pensione per i calciatori arrrriva anche quello per i presidenti. Solo che i primi non possono deciderlo, questo momento, mentre i secondi sì. Twitter @StefanoOlivari

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