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Non è mai troppo Praest

Redazione

22 novembre 2011

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Quanto è stato importante Karl Aage Praest nella storia del calcio italiano? Tanto, e non solo perché è appena morto. Le prime immagini televisive di calcio guardabili, fra cinegiornali e televisione sperimentale (in Italia le trasmissioni sarebbero iniziate ufficialmente solo nel 1954) risalgono proprio alla sua epoca d'oro, quando la Juventus lo ingaggiò un anno dopo il suo straordinario torneo olimpico a Londra 1948, con la Danimarca che vinse il bronzo. Classe 1922, insieme ai connazionali John e Karl Hansen arrivò nel calcio italiano del post Superga (pagato 20 milioni di lire da Gianni Agnelli, proprio l'Avvocato, all'epoca presidente operativo) e nella squadra dei Boniperti e dei Parola fece subito la differenza. Non tanto come realizzatore, perché in quella Juve al gol pensavano anche altri (in 7 anni bianconeri ne fece comunque 51), quanto come esterno sinistro offensivo bravo negli assist e nei cross (soprattutto per John Hansen): un fisico clamoroso e una tecnica ottima potrebbero farcelo paragonare, sulla base delle immagini più che delle testimonianze d'epoca, a una specie di Gareth Bale. Così giocava nella Juventus allenata prima da Jesse Carver e poi (dopo l'intermezzo Bertolini) da Gyorgy Sarosi, pur essendo in grado di barcamenarsi in più ruoli. Due scudetti con la Juve (il Grande Torino era stato azzerato, è vero, ma c'erano comunque il Milan del Gre-No-Li e l'Inter di Foni), un anno alla Lazio, poi una vita tranquilla da babypensionato che non dimentica: aveva infatti chiamato la sua casa 'Villa Juve'. Un grande. Se proprio vogliamo schiacciare il pedale della nostalgia, diciamo che abbiamo nostalgia di un'epoca in cui i nomi degli stranieri si ricordavano. Anche perché venivano presi per fare la differenza, non per pagare di meno gli italiani. Non ci riferiamo solo al calcio, ovviamente. twitter@StefanoOlivari

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