Tutto si può dire dell'autobiografia di Zlatan Ibrahimovic, nella versione italiana 'Io, Ibra', tranne che non stia godendo di traino giornalistico. E noi non facciamo eccezione (mai fare i fenomeni, come spiegava il grande Dan Peterson). Ogni giorno un delirio di anticipazioni, precisazioni, messaggi in codice, che diversamente dall'ordinaria marchetta per il 'collega' hanno almeno il pregio dell'essere interessanti. Cosa che, ribadiamo, non si può dire del 99% della letteratura sportiva: interi scaffali pieni di compitini raramente all'altezza di Wikipedia, con quella prosa moraleggiante e nostalgica che fa impazzire molti professori di lettere. Rispetto ad altri campioni di pari rango Ibrahimovic ha poi il pregio, almeno ai nostri occhi, di vivere il mondo del calcio come un outsider che ce l'ha fatta contro tutti e non come un soldatino che deve ringraziare ogni due minuti il presidente, il mister, i compagni, il mitizzato e mafiosetto 'gruppo'. Proprio a proposito del gruppo, con riferimento alla 'sua' Inter (2006-2009), lo svedese ha tirato qualche missile al clan degli argentini che nell'era Moratti e a maggior ragione da quando si è iniziato a vincere, ha gestito lo spogliatoio anche con allenatori del carisma di Mancini e Mourinho. Sono meccanismi che si possono osservare in ogni realtà (Chi si ricorda dei portieri, da Lehmann in giù, fatti fuori al Milan per salvare il posto a Sebastiano Rossi? E cosa sta succedendo al Barcellona con Fabregas? Per non parlare di chi ha preteso di giocare sulla mattonella di Totti...), ma di cui non si scrive mai per quel quieto vivere che alla fine ci sta ammazzando. Occorreva uno con la personalità di Ibra per spiegare, indirettamente ma neppure tanto, perché nell'Inter giochi Alvarez e non Balotelli.
Twitter @StefanoOlivari